Un funerale semplice, come era lui
L'abbraccio al «vagabondo» Merelli

Come lui: semplice e ricco di segni tutti da leggere. Non ci sono stati discorsi né ricordi letti al microfono, sabato al funerale di Mario Merelli. I gesti – pochi e semplici –, sono venuti da sé, schietti come era lui. I canti delle sue montagne e il mantra tibetano.

Come lui: semplice e ricco di segni tutti da leggere. Non ci sono stati discorsi né ricordi letti al microfono, sabato al funerale di Mario Merellia Lizzola. I gesti - pochi e semplici -, sono venuti da sé, schietti come era lui. I canti delle sue montagne e il mantra tibetano «Om mani padme hum».

Undici rose rosse un poco sfiorite, splendide. E quelle due ciotole sull'altare e all'ambone, piene di fiori candidi come la neve. A ricordare l'alpinista di Lizzola sono bastati un canto che pare una giaculatoria, il mantra che anche in Nepal (dove Mario aveva lasciato il cuore e aveva pure costruito un ospedale) viene recitato per ottenere la liberazione, la pace e la libertà dalle sofferenze.

La melodia fluida e veloce ha riempito la navata della chiesa per poi accompagnare il feretro all'esterno, fino al cimitero. Solo chi si trovava sotto l'altare - e non erano comunque pochi, vista la gran quantità di persone che hanno voluto partecipare ai funerali di Merelli - ha potuto vedere Mireia, Raffaella, Elena e Dino, moglie, cognate e fratello di Mario, uniti a cantare il mantra.

Mireia che portava gli orecchini di perle bianche del matrimonio celebrato proprio in questa chiesa due anni e due mesi fa ha poi condiviso con i parenti di Lizzola l'ultima canzone scelta per Mario. Era «Io vagabondo» dei Nomadi, e il cerchio di chi la ritmava si è inevitabilmente allargato, dedicandola a un sognatore che, come testimonia il compagno di cordata Marco Zaffaroni, «60-70 giorni all'anno, tutti i giorni per tutto il giorno, se ne andava a conquistare montagne all'altro capo del mondo».

Un funerale semplice, come era Merelli: anche l'omelia, su ammissione dello stesso celebrante, è stata breve e schietta, «perché Mario era così, lui era un uomo essenziale, non amava la pomposità» ha detto don Tiziano De Ciantis, parroco di questa frazioncina che sabato pareva aver richiamato il mondo.

Leggi le due pagine dedicate a Merelli su L'Eco di domenica 22 gennaio

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