Indagini dei carabinieri di Bergamo
Dal 4 giugno 17 ordini di cattura

«Vieni in Italia, ti troviamo un lavoro come badante». Una promessa a cui tante ragazze romene avevano creduto prima di ritrovarsi in minigonna e tacchi a spillo lungo le provinciali della Bergamasca, costrette a prostituirsi e a consegnare fino a 800 euro al giorno a chi le sfruttava.

Un duro colpo al traffico dall'Est è stato inferto dai carabinieri del nucleo investigativo provinciale, coordinati dal pm Carmen Pugliese, che dal 4 giugno stanno eseguendo 17 ordini di cattura firmati dal gip di Bergamo a carico di altrettanti indagati di età compresa tra i 26 e i 60 anni: l'operazione è in corso e alcuni sono ancora ricercati, «per questo - spiegavano gli inquirenti in una conferenza stampa del 4 giugno - per ora non riveliamo le loro identità». L'albanese arrestato a Vicenza rientra in questa inchiesta.

I reati vanno dal concorso in sfruttamento della prostituzione al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, dall'estorsione al tentato omicidio. Nei guai, in particolare, sono finiti 11 tra albanesi e romeni (destinatari di ordini di cattura in carcere perché ritenuti affiliati a due clan rivali che gestivano il traffico) e un gruppo di 6 bergamaschi (sottoposti al divieto di dimora) che avrebbero fatto da autisti alle ragazze sulla Villa d'Almè-Dalmine e lungo l'ex 525 tra Lallio e Osio Sotto, avvisandole quando vedevano pattuglie di «neri», nome con cui venivano chiamati i carabinieri nelle telefonate intercettate.

Sono le intercettazioni, infatti, la benzina che ha spinto avanti le indagini, partite nel 2008 quando una prostituta romena denunciò ai carabinieri tentativi di estorsione da parte di sconosciuti che spararono addirittura alcuni colpi di pistola contro la sua auto: l'obiettivo era il fidanzato di lei, che avrebbe avuto un debito con gli aggressori.

Da quella testimonianza, gli investigatori ne hanno raccolte altre (una ventina le prostitute identificate, tutte romene maggiorenni) che hanno fatto da corollario alle intercettazioni. «Il contributo della prima ragazza è stato fondamentale - ha spiegato ieri in conferenza stampa il pm Carmen Pugliese - ma il resto dell'indagine non poteva che svilupparsi attraverso intercettazioni di telefonate e sms».

«È emerso un quadro allarmante, in cui le ragazze venivano trattate come oggetti da comprare e vendere. Il problema della prostituzione non può essere risolto solo con palliativi coreografici come le multe ai clienti, ma va affrontato in profondità, anche perché nasconde spesso altre attività delinquenziali: in questo caso tentativi di omicidio e armi illegali».

Il riferimento è a una serie di scontri a fuoco avvenuti nel luglio del 2009 tra clan che si contendevano i «letti», cioè le piazzole dove si prostituivano le ragazze (per questo l'operazione è stata chiamata «Letto a tre piazze», dal titolo del film con Totò e Peppino e dal fatto che sono tre i gruppi incriminati).

Di rilievo la sparatoria del 14 luglio a Osio Sopra, in cui due albanesi rischiarono di essere uccisi: i bossoli trovati, esaminati dal Ris, risultarono uguali a quelli trovati sull'Alfa 156 dei sospettati, accusati quindi di tentato omicidio. Sul fronte delle armi, furono arrestati due albanesi a Boltiere, uno a Treviglio e uno a Seriate, con pistole e munizioni.

«Particolare - ha aggiunto il colonnello Giuseppe Serlenga, comandante del reparto operativo - anche il ruolo di una donna che agiva come "procacciatrice": si accordava col fratello in Romania per trovare mandare in Italia giovani con l'inganno di un lavoro».

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