«Dietro il camice, ironia e vivacità»
L’on. Pandolfi ricorda l’amico Lucio

di Emanuele Roncalli

Un’amicizia lunga quasi mezzo secolo, da metà degli Anni Sessanta fino all’ultimo incontro, sotto le luci natalizie, al tramonto del 2013. Filippo Maria Pandolfi lascia trasparire la sua commozione nel tratteggiare un profilo dell’amico Parenzan.

Un’amicizia lunga quasi mezzo secolo, da metà degli Anni Sessanta fino all’ultimo incontro, sotto le luci natalizie, al tramonto del 2013. Filippo Maria Pandolfi lascia trasparire la sua commozione nel tratteggiare un profilo dell’amico Parenzan.

«Eravamo legatissimi – dice dall’altro capo del filo -, la nostra è stata un’amicizia molto viva, forte e fraterna».

L’orologio dei suoi ricordi sposta le lancette all’alba di un decennio speranzoso e turbolento, quello di Kennedy e Krusciov, di Papa Giovanni, dell’impresa di Gagarin e dei successi dei Beatles. E’ in quel periodo che Pandolfi e Parenzan si incontrano. Il primo, dopo le stagioni nella Dc bergamasca, è sul trampolino di lancio di una carriera politica che, ininterrotta, lo porterà da Roma a Bruxelles. Il secondo è un quarantenne chiamato al timone della Chirurgia Pediatrica degli Ospedali Riuniti di Bergamo.

«Quando Parenzan è diventato bergamasco, si è creata subito una simpatia fra Carola mia moglie e Laura, che sarebbe poi diventata sua moglie. Dal momento del suo matrimonio si è instaurato un clima familiare tra noi».

«L’ho visto per l’ultima volta un mese fa – aggiunge -, prima che si ammalasse. Anche se aveva già qualche problema di salute. Poi ci siamo sentiti sempre per telefono». Nella mente di Pandolfi scivolano flash di incontri istituzionali e convegni con l’amico Lucio, ma anche momenti informali, serate in famiglia.

«Attraverso lui – prosegue l’ex ministro - ho conosciuto personaggi come Christian Barnard. Ricordo una cena con il celebre cardiochirurgo sudafricano e altre personalità di spicco. Fu una serata amichevole, fra grandi della medicina, e lì capii quanto Lucio fosse ormai dentro l’élite internazionale, il Gotha mondiale dei cardiochirurghi».

«Nonostante ciò – si affretta a precisare – Parenzan parlava del suo lavoro senza enfasi, ma con una partecipazione naturale straordinaria. Alcune volte il discorso cadeva sui suoi successi e sulle sue esperienze all’estero, poi si tornava a parlare di noi, perché il nostro è stato un rapporto di grande amicizia affettuosa». Quindi dietro il camice e il rigore del medico… «c’era una personalità viva, curiosa, aperta e anche piena di spirito, che sapeva dosare il senso dell’ironia quando parlava di qualcuno».

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