La veglia dei sogni
e l’attesa ripagata

Ieri in un cortile di cemento di una scuola del centro di Bergamo schiamazzavano gruppetti di bambini intabarrati in sciarpe e cappelli. Guance rosse e labbra screpolate, tutti in giro a correre veloci e scomposti. Le maestre a controllarli attente e a morire di freddo, loro giocavano a lupo, strega comanda colore, un due tre stella e nascondino dietro a cespugli scheletrici sull’asfalto colorato solo da cappotti e giacconi.

Ieri in un cortile di cemento di una scuola del centro di Bergamo schiamazzavano gruppetti di bambini intabarrati in sciarpe e cappelli. Guance rosse e labbra screpolate, tutti in giro a correre veloci e scomposti. Le maestre a controllarli attente e a morire di freddo, loro giocavano a lupo, strega comanda colore, un due tre stella e nascondino dietro a cespugli scheletrici sull’asfalto colorato solo da cappotti e giacconi.

Mi sono fermata lì in mezzo per caso, quasi con la paura di essere travolta da tutto quel correre, e mi sono sentita felicemente a mio agio. Felice, quasi come fossi anche io una bella statuina in quel miscuglio di righe, fantasie e vocine urlanti. Felice perché quei bambini stavano giocando agli stessi giochi di quarant’anni fa, o forse perché era un piacere sentirli ridere spensierati in quel pomeriggio di scuola dall’aria pungente. Poi, vicino al muro del palazzo, un gruppo di bambini era tutto intento a guardare il cielo: naso all’insù, indice puntato, fitti fitti a parlare di una scia luminosa che, secondo alcuni, la notte del 12 dicembre solo i fortunatissimi vedono. Ne è nato un dibattito animato, con versioni discordanti sui percorsi magici intrapresi da Santa Lucia. Parole e supposizioni, congiuntivi zoppicanti e qualche parola inventata, ma alla fine non importava davvero a nessuno quale fosse la vera strada del cielo percorsa dall’amica e confidente Lucia. Alla fine c’erano solo una dozzina di nasi rossi e colanti che rimiravano l’immensità di un cielo d’inverno.

Proprio come abbiamo fatto tutti noi, almeno una volta, da piccini ma anche da grandi, riscoprendoci tutti bambini, o adulti forse mai cresciuti del tutto, con quell’emozione immensa e purissima che è di attesa mista a stupore. Con la sensazione, magica e straordinaria, di un sogno.Stanotte è la notte dei nostri bambini e di tutti i bergamaschi già cresciuti che in quella chiesa di via XX Settembre la coda, con o senza letterina, se la fanno tutti gli anni. Per motivi diversi, con preghiere accorate e con riflessioni spesso dolorose, ma per una notte ancora capaci di incantarsi davanti a una capanna di legno che sul Sentierone ci porta tutti indietro nel tempo e ci emoziona, sempre e comunque.

Perché ci sono i ricordi da tenere vivi con l’intensità di un cuore palpitante, c’è la speranza che deve nutrire l’animo per dare forza a questo mondo sempre più traballante. Sempre più duro e feroce che in questa lunga notte deve però confrontarsi con gli sguardi dei nostri bambini. È loro questa notte, mentre accendono una candela sul davanzale e osservano trepidanti il cielo, mentre preparano sullo zerbino biscotti, carote e latte fresco per poi la mattina scoprire solo briciole, una strada di caramelle e una scia argentata di brillantini.

È la notte delle poesie, delle filastrocche da ripetere sotto le coperte; è la notte dei sospiri, degli occhi stanchi che non si vorrebbero chiudere mai e delle orecchie tese per sentire se alla porta arrivano passi leggeri e un raglio sommesso di un asinello stanco e affamato dopo la tanta strada intrapresa. E per questa notte, per questi bambini, le paure non devono esistere, neanche quelle sotto il letto o dietro l’armadio. C’è solo Santa Lucia che fa un grande regalo a tutti: l’opportunità di tornare col cuore bambini. E non c’è carbone che tenga, marachella combinata: c’è solo il bisogno di una leggerezza gentile, di assaporare l’immagine di quel bambino che in pigiama, piedi scalzi e cuore che batte forte, segue una striscia di zuccherini variopinti. E salta di gioia, urla felice. Quasi gli manca il fiato tanta è la sorpresa. Ma non si tratta dei balocchi o dei dolciumi: quell’emozione è l’aver capito che il suo sogno, immaginato a lungo, disegnato su paginette di quaderno, raccontato in quel cortile di scuola, è realtà. È vero, sicuro, è una certezza. Lui è stato ascoltato, la sua attesa innocente è stata ripagata. Perché bisogna ancora essere capaci di sognare, ce lo meritiamo sempre e comunque: i sogni hanno sempre fatto muovere il nostro difficile mondo. Come in quel cortile con il naso all’insù

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