Parrucchiera di Alzano condannata
Traffico di coca in Brasile: 13 anni

Sono stati giudicati in appello da un tribunale federale brasiliano colpevoli di traffico internazionale di stupefacenti e condannati i due fidanzati (lei originaria di Alzano) naufragati all’alba del 24 dicembre 2011 sulle coste di Aracajù con 307 kg di droga.

Sono stati giudicati in appello da un tribunale federale brasiliano colpevoli di traffico internazionale di stupefacenti e condannati i due fidanzati romagnoli naufragati all’alba del 24 dicembre 2011 sulle coste di Aracajù, nello Stato brasiliano del Sergipe, con 307 chili di cocaina pura al 90% nascosti dentro al loro yacht, l’Ornifle, per un valore stimato sul mercato europeo in circa 20 milioni di euro.

Come riportato dalla stampa locale a Davide Migani, 43 anni, skipper di Cervia (Ravenna), sono stati inflitti 20 anni di carcere. Quasi 13 anni di carcere quelli decisi per Giorgia Pierguidi, 38 anni parrucchiera originaria di Alzano Lombardo ma da tempo residente a Forlì (Forlì-Cesena).

Le richieste dell’accusa erano state rispettivamente di 33 e 19 anni: a contenere la pena è stata l’assoluzione per la seconda imputazione, quella di associazione per delinquere. Entrambi in primo grado a metà luglio dell’anno scorso erano stati assolti e scarcerati con una sentenza che in Brasile aveva sollevato un’ondata di polemiche contro la quale la Procura sergipana aveva presentato subito un corposo ricorso.

Se ora non dovessero intervenire ulteriori ricorsi (i due sono difesi dagli avvocati Emanuel e Anna Cecilia Cacho), a breve la magistratura brasiliana potrebbe chiedere l’estradizione dei due condannati o l’espiazione della pena in un carcere italiano. I due si trovano ora entrambi in Romagna. Sul versante dei rapporti fra Italia e Brasile in materia di giustizia i rapporti sono problematici.

Esiste un trattato di estradizione ma i casi del banchiere italiano-brasiliano Cacciola, la cui estradizione chiesta dal Brasile per bancarotta venne negata dall’Italia, e l’ancor più clamoroso caso del brigatista rosso Cesare Battisti, la cui estradizione in Italia venne bocciata dalla corte suprema sudamericana ed ora vive libero in Brasile, rendono alquanto nebulosa la situazione.

A determinare l’assoluzione di primo grado, il fatto che la versione del cervese fosse stata ritenuta credibile. L’uomo aveva sostenuto che la sua intenzione era stata proprio quella di naufragare per potere parlare con la polizia marittima. Della cocaina, a suo dire sistemata di nascosto sulla barca da un terzo uomo, lui s’era accorto solo durante la navigazione mentre cercava la ragione di uno squilibrio dello scafo.

Alla fidanzata lo aveva rivelato giusto poco prima di puntare verso la secca. Per i quattro pm che avevano firmato il ricorso contro l’assoluzione, si trattava invece solo di una storia creata ad arte dalla difesa. Per loro non c’era stato nessun naufragio volontario ma solo una «maldestra manovra per entrare nel rio Sergipe», zona «molto difficile da navigare proprio a causa della foce».

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