Sulla gavetta riemersa dall’Egeo
la tragedia del piroscafo Oria

Spesso la storia è scritta sui libri, a volte scolpita nelle lapidi. Più raramente, ma con un’efficacia senza eguali, è scolpita nell’alluminio di una gavetta. Il 12 febbraio è stato ricordato il 70° anniversario del naufragio, in Grecia, del piroscafo Oria.,

Spesso la storia è scritta sui libri, a volte scolpita nelle lapidi. Più raramente, ma con un’efficacia senza eguali, è scolpita nell’alluminio di una gavetta. Il 12 febbraio è stato ricordato il 70° anniversario del naufragio, in Grecia, del piroscafo Oria, dove trovarono la morte oltre 4.000 internati militari italiani, prigionieri dei tedeschi e destinati ai campi di lavoro (e di morte) in Germania.

Grazie alle pagine pubblicate nei giorni scorsi da L’Eco di Bergamo, è tornata in superficie una bella storia che dai fondali del Mar Egeo porta alla pianura di Fara Olivana, fra cascine e vecchie corti. Da qui partì Domenico Borella, nato il 9 settembre 1922 e disperso nel naufragio.

Nell’aprile 1995 la gavetta di Domenico finì impigliata nella rete di un pescatore greco, che condivise il ritrovamento con un amico idraulico. Le chiare incisioni di nome, cognome e paese di residenza consentirono ai greci di stabilire un contatto con la famiglia.

«Parlando poco inglese e molto greco - ricorda Giuseppe Torriani, nipote di Domenico - il pescatore e l’idraulico contattarono il Comune e successivamente la famiglia di zio Luigi, classe 1914, fratello più grande del disperso. Fu l’inizio di un’avventura commovente». Proprio il ritrovamento di un’altra gavetta da parte del sub greco Aristotelis Zervoudis nel 2002 portò all’individuazione del relitto e alla creazione di una rete di contatti fra familiari coordinata sul sito www.piroscafooria.it.

Da una sorta di «cartina» incisa con pazienza da Borella sulla gavetta (probabilmente con l’ausilio del punzone di trasmissione del telegrafo) si leggono i luoghi del Mediterraneo toccati durante le vicende belliche: Chiavari, Roma, Jugoslavia e Rodi, dove Domenico finì prigioniero dei tedeschi dopo l’Armistizio. Il nome e la vicenda di questo soldato bergamasco finirono «sommersi» negli archivi di ministero e Croce Rossa, senza che la famiglia ricevesse alcuna comunicazione precisa.

Il nome di Domenico Borella non è presente nemmeno sul monumento «Ai Caduti di tutte le guerre» di Fara Olivana. Se ne ha traccia soltanto sulla tomba del padre al cimitero di Romano, dove il cavalier Borella si era trasferito nel 1961. Sono ancora viventi due sorelle di Domenico, ultranovantenni: Zita, che vive a Bergamo, e Agostina, residente a Romano.

Leggi di più su L’Eco di Bergamo di domenica 23 febbraio

© RIPRODUZIONE RISERVATA