Faac, all’audizione fuori tempo massimo
La Regione organizza un sopralluogo

Operazione chiusa, ma ben venga ogni contributo per ricollocare i lavoratori. La visita a Grassobbio fra un paio di settimane. La Cisl: ora puntare alla reindustrializzazione.

Fuori tempo massimo. L’audizione della Faac in commissione regionale Attività produttive, avvenuta giovedì mattina, è arrivata tardi perché, come ha ribadito il direttore delle risorse umane della società Michele Conchetto, «l’operazione è chiusa» e lo stabilimento di Grassobbio «non è più in funzione». Ma il presidente della commissione, Angelo Ciocca (Lega Nord), ha comunque proposto un sopralluogo dei consiglieri regionali sul sito tra un paio di settimane.

Durante l’incontro al Pirellone, Conchetto ha ricordato che «a marzo di quest’anno è partita l’operazione di chiusura del sito di Bergamo», dove lavoravano 50 dipendenti. Dunque «ormai il percorso è chiuso». La decisione di lasciare Bergamo risale al 2011, quando il nuovo piano industriale ha stabilito «una fase di riorganizzazione» della Faac (l’azienda passò successivamente per lascito testamentario dell’imprenditore all’Arcidiocesi di Bologna e da maggio di quest’anno è gestita da un trust). Ai dipendenti di Grassobbio, in seguito, «è stato offerto di trasferirsi nello stabilimento di Bologna», un’offerta che però «venne rifiutata».

Nel corso dell’audizione al Pirellone, sono intervenute anche Cisl e Fiom-Cgil. Francesco Corna, della segretaria della Cisl bergamasca, ha sottolineato che «la chiusura non è condivisibile, ma il nostro compito era gestire la situazione in base alla legge vigente e cercare di trovare un accordo alle condizioni migliori per i lavoratori». Da parte sua Fulvio Bolis, della Fiom-Cgil di Bergamo, attacca: «Non abbiamo firmato l’accordo perché non c’erano le condizioni. Siamo di fronte a un’azienda che macina utili, si poteva investire e ristrutturare Grassobbio. La scelta di delocalizzare è stata fatta per aumentare i profitti». Inoltre per Bolis «il piano di ricollocazione è insufficiente e, tra l’altro, rende incerta la stessa ricollocazione dei lavoratori».

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