Grano, prezzi alle stelle per la guerra in Ucraina. «A rischio la fornitura»

L’allarme Promuovere filiere corte e produzioni locali è la ricetta suggerita dalle sigle agricole bergamasche. «Da oggi a Pasqua le scorte potrebbero esaurirsi».

Filiere corte e produzioni di grano locale per mettersi al riparo da speculazioni e pericoli di natura geopolitica. È la ricetta di Coldiretti, Confagricoltura e Aspan, che mettono in guardia dai possibili rischi che la guerra in Ucraina potrebbe comportare anche per le tavole dei bergamaschi.

Import di 200 mila tonnellate

Il prezzo del grano aumenta di giorno in giorno, anche a causa delle difficoltà logistiche di fornitura, con la maggior parte delle navi bloccate nel Mar Nero. Il nostro Paese importa da Russia e Ucraina quasi 200 mila tonnellate di grano tenero e il rischio vero oggi non è solo il rincaro di pane e pasta anche nell’ordine del 50%, ma la mancanza di forniture.

Se il Centro-Sud è in difficoltà per la carenza di grano duro, che sta costringendo numerosi pastifici a sospendere la produzione, a Bergamo imprese alimentari e panifici guardano con attenzione alle quotazioni e alla disponibilità di grano tenero.

Oggi Coldiretti promuove una manifestazione in occasione dell’apertura della Fieragricola di Verona, dove verrà ricordato l’invito dell’ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che nel 1979 lanciò un auspicio : «Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai», per sensibilizzare alla pace, alla stabilità economica e alle forniture alimentari in Italia e nel mondo. Secondo l’associazione di categoria, il rischio reale è di trovarsi con scaffali deserti, ma anche con speculazioni e carestie, che nel passato hanno provocato tensioni sociali, politiche e flussi migratori. Per Coldiretti Lombardia «la guerra mette a rischio anche le esportazioni agroalimentari lombarde in Russia e Ucraina per un valore complessivo di circa 100 milioni di euro in un anno.

Alle speculazioni che portano a continui rincari del prezzo del grano si somma il timore che non basti pagare di più la materia prima, ma che da qui a Pasqua si esauriscano le scorte. «L’Italia necessita di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais – fa presente il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini -. Serve poi un piano proteine nazionali per l’alimentazione degli animali da allevamento». Per Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo, «si devono sostenere e valorizzare le produzioni locali, conferendo il giusto valore affinché i terreni vengano coltivati. Il prodotto di filiera corta offre maggiori garanzie, ma oggi non viene riconosciuto un prezzo adeguato e gli agricoltori finiscono per lavorare addirittura sottocosto».

Sulla stessa linea anche Confagricoltura Bergamo: «Da sempre spingiamo sull’autosufficienza alimentare per quanto riguarda frumento e mais – commenta il direttore Enzo Ferrazzoli -. Serve un progetto di filiera per il frumento italiano che garantisca una maggiore valorizzazione economica del grano». Tramite il presidente nazionale, Massimiliano Giansanti, Confagricoltura ha chiesto che venga predisposto «un piano di emergenza per il settore agroalimentare, coordinato dalla Commissione europea, per assicurare la continuità dei cicli produttivi e garantire i rifornimenti».

L’Aspan, che raggruppa i panificatori orobici, rilancia il progetto a filiera corta «Alle origini del pane. Dal campo al panificio con la blockchain», l’evoluzione dell’iniziativa «Qui Vicino», avviata nel 2011 proprio per rendere più efficienti i passaggi dal campo alla tavola, dal produttore al consumatore. «Viviamo un momento di grande speculazione e molti produttori locali non ritengono conveniente seminare il frumento – afferma Massimo Ferrandi, presidente di Aspan Bergamo -. Al momento stanno consegnando il prodotto con contratti firmati sei mesi fa, ma prevedo un’onda lunga, tanto che nei prossimi mesi potremmo sentire la mancanza di grano. Bisognerebbe tornare indietro per andare avanti: mio nonno coltivava il grano e lo consegnava ai piccoli mulini, che compravano quasi esclusivamente prodotto locale. Solo il 20% arrivava dall’estero, ma purtroppo negli anni si è ribaltata la percentuale e oggi dipendiamo da altre nazioni per l’80%».

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