«Nuova Trussardi», cede Beatrice
Tomaso al 50%. La Borsa? «Non ora»

La chiamano la «nuova Trussardi», una ristrutturazione che nei prossimi anni vedrà la casa di moda bergamasca impegnata in un rafforzamento dell’azienda, andando a spingere sul mondo dell’accessorio e su una riorganizzazione retail che ha l’obiettivo di portare la Trussardi dai 150 milioni di fatturato del 2014 ai 250 milioni in 4 anni.

È di questi giorni la notizia della cessione da parte di Beatrice Trussardi della sua quota societaria, il 25%, al fratello Tomaso, amministratore delegato dell’azienda di famiglia e ora proprietario del 50% della casa di moda: il restante è suddiviso equamente tra la sorella e direttore creativo dal 2013 Gaia, e la mamma Marialuisa, presidente del gruppo. Non divulgati i dettagli finanziari della transazione: «Beatrice esce dalla parte moda – spiega l’ad -, per seguire il settore immobiliare del gruppo e la Fondazione Nicola Trussardi, intitolata a nostro padre». E aggiunge: «Il 2016 sarà l’anno del cambiamento – continua Tomaso Trussardi -. Abbiamo studiato un piano quinquennale volto ad ottimizzare l’attività al fine di incrementare la visibilità del marchio e aumentare la redittività. Da qui la strategia di affermarci nel settore del “lusso accessibile”. Abbiamo lavorato sui listini prezzo: il mercato ce lo impone, chiedendo un diverso rapporto qualità-prezzo».

Entro il primo semestre del 2016 verrà sottoscritto anche un aumento di capitale da 15 milioni: «Questa operazione porta a 40 milioni la cifra che abbiamo destinato allo sviluppo negli ultimi tre anni, in un progetto che vede la nostra famiglia concentrata sullo sviluppo del marchio» prosegue l’ad. Ancora presto parlare invece di quotazione in Borsa: «Nei prossimi 3-4 anni potremmo avvicinarci alla Borsa o a un fondo di private equity, però non c’è nulla di deciso e chi afferma il contrario vuole solo farsi pubblicità – commenta –. Al momento non è nei nostri obiettivi: non siamo pronti e lo stesso mercato non è pronto. Sarebbe una mossa speculativa che non ci interessa».

E le voci di una possibile apertura del capitale a soci esterni? «Abbiamo degli advisor che ci hanno aiutato nella ristrutturazione e nella pianificazione degli obiettivi per i prossimi anni e abbiamo ricevuto decine di offerte, ma per ora restiamo indipendenti e non ci sono previsioni di vendita». Rumors che erano trapelati dopo che La Finos Spa, società capofila del gruppo Trussardi, ha chiuso il 2014 con un fatturato consolidato globale, comprensivo di vendite e altri ricavi, che si avvicina ai 153 milioni. Il dato è in calo del 4,4% rispetto all’anno precedente, con una perdita di 6,9 milioni e un indebitamento salito da 38,8 a 42,2 milioni: «I rilanci dei brand e i riassetti societari costano nel breve in termini di performance e di marginalità: è per questo che la famiglia è intervenuta di tasca propria finanziando il rilancio».

Ridefinita nel frattempo anche l’organizzazione delle linee: ci sono Trussardi e Trussardi Jeans, mentre la Tru Trussardi vede la sua ultima uscita in questa primavera/estate: «Puntiamo sulle nostre origini: la nostra storia parte dalla pelletteria, riequilibrando il rapporto tra vendite di abbigliamento e accessori». Considerando, tra l’altro, che solo gli accessori hanno generato 23 milioni di euro nella scorsa stagione, «con l’abbigliamento uomo che rappresenta il 47% delle vendite».

Forte la Cina: «Una buona fetta del fatturato arriva da lì – continua –, così come interessante la risposta dei consumatori sulle collezioni flash che proponiamo: circa il 35% delle vendite a livello globale proviene da qui».

Punti chiave per il biennio? «Rafforzare la rete retail esistente e incrementare la rete franchising. Prevista anche la nuova apertura di corner nei department store nazionali e internazionali, con nuovi negozi dal 2018». Al momento sono 1.500 i punti vendita wholesale nel mondo: «Abbiamo chiuso i più piccoli – spiega ancora Trussardi – e a metà di quest’anno è previsto l’avvio del restyling dei negozi in Italia, Europa e Cina. Altri saranno chiusi e altri ricollocati». Interessante il lavoro fatto sempre in Cina: «Abbiamo ricomprato i nostri 50 negozi, chiuso la metà e aperti di nuovi: questa operazione, dopo un mese, ci ha già permesso di guadagnare + del 35% a budget».

© RIPRODUZIONE RISERVATA