Così l’Università di Bergamo
«recupera» anche la città

Si avvia alla conclusione la stagione delle grandi opere dell’Università di Bergamo. Quei trenta milioni di euro messi a bilancio a fine dicembre per gli investimenti infrastrutturali previsti di qui al 2020 serviranno a sostenere l’ultima tranche degli interventi di edilizia che l’ateneo ha iniziato a realizzare nel 2000. E in gran parte con soldi propri. Qui sta il bello, e l’anomalia.

L’Università di Bergamo ha speso negli ultimi quindici anni 107 milioni di euro per recuperare immobili e spazi ormai inutilizzati, in città e in provincia, da destinare a uso accademico. L’ex centro servizi di via dei Caniana è diventato sede dei dipartimenti di Economia e Giurisprudenza, il complesso di Sant’Agostino e l’ex Collegio Baroni ora ospitano il polo umanistico, a Dalmine quelli che erano depositi e magazzini industriali sono stati trasformati nel quartier generale di Ingegneria, e l’ex caserma Montelungo un giorno non troppo lontano sarà occupata da residenze e impianti sportivi per docenti e studenti. Un’espansione immobiliare necessaria, vista la crescita esponenziale degli iscritti. Di questo passo nel 2020 gli universitari saranno ventimila e ci sarà spazio per tutti grazie agli interventi messi in atto.

Colpisce che dei 107 milioni di euro spesi dal 2000 ad oggi quasi cento provengano dalle casse dell’ateneo. Bravi loro, che hanno saputo tenere i conti in regola senza per questo rinunciare a crescere, migliorando l’offerta formativa e avanzando nella ricerca, una politica premiata dal ministero che, pur nella ristrettezza dei finanziamenti, ha ripreso a foraggiare il nostro ateneo. Un caso nel panorama nazionale, dove gli atenei difficilmente possono permettersi di investire nel rinnovamento delle infrastrutture senza un aiuto esterno. A Brescia, città che ha visto la sua università protagonista di un forte sviluppo, si è scelto di riconvertire immobili del Demanio ottenendo fondi statali per sostenere l’operazione. E a Verona per riqualificare l’ex caserma di Santa Marta e destinarla ai servizi universitari ci sono voluti 37 milioni di euro, la metà dei quali sono però arrivati da Comune, ministero e banche. Non c’è da meravigliarsi. Gli edifici in uso agli atenei sono patrimonio della città, a maggior ragione se sottratti al degrado e aperti alla cittadinanza. Come ha fatto notare il rettore dell’Università di Bergamo Remo Morzenti Pellegrini nel commentare gli ultimi investimenti, «ogni edificio del nostro ateneo è frutto di un piano di recupero». Sarebbe miope considerarli interventi fatti nell’esclusivo interesse dell’ateneo e degli studenti che pagano le tasse per frequentarlo, a maggior ragione in una città che si fregia del titolo di «universitaria».

Con il recupero della Montelungo si chiude una stagione non soltanto immobiliare. Avere un’università in grado di finanziare alcune delle principali opere pubbliche cittadine significa sì avere un forziere dal quale attingere risorse economiche fondamentali, visti i tempi di vacche magre, ma soprattutto poter contare su un potente motore per lo sviluppo del territorio. L’occasione per una Bergamo più dinamica, più giovane, più attraente. Capace di stare al centro di un sistema più ampio che veda collaborare pubblico e privato, istituzioni, imprese, mondo della scuola e dell’economia per un obiettivo comune: crescere insieme.

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