Il crimine show
Adesso fermatevi

Dico quello che penso, quindi valgo. L’equazione che esalta la schiettezza anche più rude ha fatto breccia nei rapporti privati e in quelli pubblici. Il nemico è il politicamente corretto, il discorso che non esce dagli argini rassicuranti del bon ton considerato ipocrita, accettabile perché funzionale al quieto vivere, a danno della scomoda verità.

Ma quanta verità ci sia in quella schiettezza è tutto da dimostrare. Dire quello che si pensa non è di per sè un valore. Se il pensiero è mendace, allora sarebbe meglio tacere. E invece anche in nome del politicamente scorretto, nel discorso pubblico ormai tracimano giudizi gretti e aggressivi.

La tv ammicca a personaggi che inquinano il dibattito vantando il merito della genuinità. Soprattutto nel cosiddetto «infotainment», neologismo anglosassone che indica un genere di giornalismo televisivo caratterizzato dalla mescolanza di informazione e spettacolo, puntando sull’asprezza della polemica.

Il mondo è cambiato e la tv ingessata e civile sembra non rispondere più alle esigenze della «gente», categoria peraltro variegata e citata spesso parzialmente, senza conoscerla in profondità. Non è così, ma tant’è. A guardare alcuni programmi si resta però interdetti.

L’infotainment in quei salotti ha subìto una deriva che ha scardinato l’equilibrio tra informazione e intrattenimento, ai danni della prima. E ogni mezzo è considerato buono se il fine è l’audience. Nel tritacarne della dittatura degli ascolti è finita prima la politica e poi la cronaca nera. Le grandi tragedie del crimine in questi anni - da Cogne a Yara - sono state squadernate senza pietà, facendo leva sul sentimentalismo, con poco rispetto dei fatti ed enfatizzando le opinioni.

Una strategia mediatica priva di scrupoli, che ha sacrificato la realtà e la verità allo «spettacolo» delle grida e delle lacrime. In questi giorni ha poi trovato riscontro quello che negli ambienti giornalistici già si sapeva: i protagonisti delle vicende giudiziarie possono essere attirati in studio anche con l’esca del pagamento di un compenso economico.

La conferma è arrivata dalle carte dell’accusa depositate dalla Procura di Ragusa nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Loris, il bambino di otto anni trovato senza vita in un canalone alla periferia di Santa Croce Camerina il 29 novembre dell’anno scorso. La madre del piccolo è in carcere con l’accusa di omicidio.

Due sue parenti sono state intercettate mentre al telefono trattano il compenso di 2 mila euro per la partecipazione alla trasmissione di Mediaset «Domenica Live» con la conduttrice Barbara D’Urso. In altre intercettazioni si parla del pagamento di 3 mila 500 euro per interviste ad altri programmi. Queste trattative non profilano alcun reato ma lasciano un senso di tristezza per il dolore mercificato. Non viene attenuato dalla giustificazione che i parenti dei protagonisti della cronaca nera ricorrono a quei compensi anche per l’esigenza di coprire le spese per i processi.

Spiace che a questi salotti si sia concesso anche Francesco Sicignano, il pensionato che a Vaprio ha ucciso un ladro albanese. A pochi giorni da quella tragedia e supportato da Matteo Salvini, ospite ambito e acclamato di quegli studi tv, si è prestato a un’intervista durante la quale ha dispensato insulti a chi aveva obiezioni alla sua decisioni di sparare. Ha invitato a mettersi nei suoi panni quella notte. Ma nei suoi panni è certo che non ci saremmo prestati allo spettacolo mediatico.

Meglio il silenzio, nel quale in questi anni si sono chiusi i familiari di Yara Gambirasio. Al punto da far dire ai saputelli dei salotti dell’infotainment che forse avevano qualcosa da nascondere. Sì: il loro immenso, composto dolore.

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