Il monito dei vescovi europei
sui populismi che danzano
intorno al vitello d’oro

«I populismi vogliono allontanare i problemi reali, organizzando danze attorno ad un vitello d’oro». A poco più di un mese dalle elezioni europee, mentre i sondaggi indicano cruciale lo scontro sui sovranismi interviene il presidente dei vescovi europei mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussembugo, sulla Civiltà Cattolica, la rivista dei Gesuiti i cui testi sono approvati e condivisi dalla Segreteria di Stato vaticana. È un’analisi rigorosa, severissima, dai toni preoccupati come mai è avvenuto finora, con in aggiunta un’autocritica alle Chiese troppo organizzate su base nazionale e poco aperte nei riti ad altre lingue e culture, con il rischio di fare il gioco dei populismi, che «pretendono di rappresentare l’Occidente cristiano» e «attirano un certo numero di cattolici praticanti».

È una questione antica che oggi può portare a nuovi guai, ultima declinazione del più antieuropeista degli slogan, quel «Cuius regio eius religio» che contrasta con l’universalità dal cristianesimo, frena sull’integrazione delle fedi e certifica la stabilizzazione di Chiese separate. Mons. Hollerich invece chiede di «disfarsi di ogni autoreferenzialità ecclesiale» e di riflettere sulla «mancanza del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II». Analizza le paure che «reclamano un’identità europea cristiana», di cui le «politiche populiste» approfittano, trasformandole in «aggressività» e presentando «migranti, Islam ed ebrei come nemici». La paura spazza via «politiche sensate», mette a rischio la democrazia e l’angoscia sparsa a piene mani fa ballare l’Europa sull’«anticamera del totalitarismo»: «i populismi costruiscono una falsa identità denunciando nemici che sono accusati di tutti i mali ad esempio i migranti o l’Unione europea». Se un «cristianesimo autorefenziale» vede emergere «punti comuni con questa negazione delle realtà» allora «rischia di creare dinamiche che alla fine divoreranno il cristianesimo stesso».

Analisi perfetta e drammatica. L’europeismo minimo, che finora aveva resistito al vento di tempesta viene pregiudicato da spazietti di manovra individuale e nazionale e incrina il sogno del Manifesto di Ventotene in un’Europa che marcia in ordine sparso sulle crisi decisive dalla Libia al Venezuela. Il presidente dei vescovi europei non teme di fare i nomi di due guru del nazionalismo. Il primo è Steve Bannon ex-stratega di Donald Trump, che da mesi si è trasferito in Europa per mettersi al servizio dei movimenti più euroscettici. Il secondo è Aleksandr Dugin, il «Rasputin» di Putin, filosofo russo teorico della fine del mondialismo che esalta il ruolo cruciale nel processo di disfacimento dello zar del Cremlino. Li definisce «sacerdoti di populismi» che «evocano una realtà pseudo-religiosa e pseudo-mistica» che nega il centro della teologia occidentale» e cioè «l’amore di Dio e l’amore per il prossimo», fondamento della «nostra libertà» e «condizione indispensabile della responsabilità politica».

L’antidoto ai populismi è «il rispetto dei popoli» e «dei diritti dell’uomo», compreso quello che «distingue le sètte dalle religioni» e i «totalitarismi dalle democrazie». Le prossime elezioni europee possono rimediare al fallimento solo se si ricrea un clima di «dialogo schietto e profondo» per riprendere il «progetto di integrazione». Ma va messa in soffitta l’idea che la volontà regolatrice dell’Europa sia un «disturbo», mentre è decisiva sulle migrazione, il lavoro, l’ambiente e la conciliazione tra le due parti dell’Europa, dopo dice Hollerich con una punta di ironia amara, aver interpretato «troppo ingenuamente il crollo dell’impero sovietico come il trionfo del capitalismo e del liberalismo».

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