Il Papa e i vaccini
La carità che umilia

Le dosi di vaccino spariscono nello scontro politico o non arrivano affatto in molti Paesi che non riescono a soddisfare le garanzie di mercato. Così all’inizio di una campagna vaccinale globale mai vista sulla faccia della terra i guai previsti sembrano soverchiare i benefici attesi. Probabilmente ha ragione Papa Francesco che ancora ieri all’Angelus ha ribadito che le cose andranno meglio se «lavoreremo insieme per il bene comune». Nessuno, nemmeno il Papa sa come andrà a finire, ma di una cosa è assolutamente convinto e cioè che andrà bene se ognuno di noi e tutti insieme ci impegniamo a prenderci cura gli uni degli altri e del creato, che è la nostra casa comune. «Cura» sarà la parola-chiave del 2021, secondo anno di pandemia. Eppure «cura» è un concetto che contrasta, per restare in tema solo di Covid-19, con un’altra sventura che molte politiche sanitarie e molte regole economiche hanno imposto e ormai spalmato a livello globale. Si chiama «nazionalismo sanitario», una sorta di corsa all’oro per accaparrarsi il meglio per sé facendo inciampare i vicini e tenendo lontano chi lo è già.

Bergoglio lo va dicendo da tempo, ma nei giorni attorno a Natale lo ha ripetuto con maggior forza. Il vaccino anti-Covid è il prototipo più brillante della «Klondike gold rush» da pandemia. Intanto nessuno parla più di vaccino come «bene pubblico globale». Il vaccino è un elemento che fa schizzare in alto, anzi molto in alto, i guadagni di chi lo produce, lo trasporta e lo distribuisce. Andrebbe distribuito secondo i bisogni e non secondo i mezzi che si dispongono. Ma accade esattamente l’opposto. Andrebbe distribuito secondo i bisogni delle popolazioni e non secondo i capricci dei politici.

Ma accade, ancora una volta, esattamente l’opposto. In Perù, il Paese latino-americano che ha registrato più morti rispetto alla popolazione, le dosi si sono perse nello scontro politico interno tra il ministero della Salute, il presidente deposto Vizcarra e il Congresso che si accusano a vicenda di sommi pasticci.

In Nigeria, il più grande Paese africano, non è arrivata nemmeno una fiala. Ma è tutta l’Africa ad essere finora lasciata ai margini: non ha garanzie da offrire al mercato di Big-Pharma. La strada per evitare di finire nelle sabbie mobili della finanza e, per molti Paesi, di veder salire il proprio debito, era quella di liberare ogni vaccino da proprietà intellettuale. Ma il boccone è troppo saporito per offrirlo gratis. La forbice del costo è molto ampia da 2 a 32 dollari la dose. Ma non si sa quanto costano quelli russi e cinesi.

Poi c’è costo e costo. Si paga in denaro sonante e in influenza geopolitica, senza regole o con regole canaglia. La salute è un buon affare per investimenti collaterali di ampia filiera dai trasporti alle costruzioni edili agli sconti sulle materie prime. La logistica è il settore che promette ottimi guadagni. Come si fa a tenere il conto di chi viene vaccinato in Paesi dove manca pure l’anagrafe? C’è già chi si è fatto avanti e ad alcuni Paesi africani ha garantito di risolvere entrambi i problemi. Dietro lauto compenso. Chi promette vaccini gratis in assenza di un’autorità sovranazionale di controllo di solito fa il gioco del gatto e la volpe ai danni del povero Pinocchio. Un Ente internazionale era stato proposto dal solito Bergoglio a Natale, essendo l’Oms in affanno sul tema, ma nessuno, proprio nessuno, ha colto il suggerimento, nemmeno per criticarlo. Segno che ha colpito nel punto più delicato. Non vuol dire che i poveri non avranno il vaccino nei prossimi mesi. Vuol dire solo che lo avranno per elemosina, carità che umilia, e non per solidarietà di cura tra eguali.

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