L’Europa è tornata madre e la Nato baluardo: niente sarà più come prima

«Nulla sarà più come prima», questa la lezione che abbiamo tratto dalla dolorosa esperienza della pandemia. «Nulla sarà più come prima», siamo costretti ancora una volta ad ammettere nel registrare il dramma dell’invasione putiniana dell’Ucraina. Nel primo caso ad essere investita è stata la sfera della nostra vita privata, nel secondo quella della vita pubblica.

È bastata una settimana perché l’Europa intera assistesse incredula alla ricomparsa della guerra sul suo territorio che rischia di investirla frontalmente. Di colpo il corso della storia ha invertito direzione. Innanzitutto, in politica estera. Caduta l’Urss, ci siamo illusi che il futuro del mondo sarebbe stato nel segno della democrazia, a maggior gloria dell’Occidente che aveva vinto la sfida con l’Oriente comunista. Invece di un globo unificato dalla prospettiva di una crescita economica allargata, scopriamo ora che la divisione in blocchi si ripropone in modo non meno netto e minaccioso di prima.

In secondo luogo, nella nostra visione dell’Europa. L’attuale legislatura si è aperta nel nome di un euroscetticismo tanto spinto da far ventilare l’eventualità dell’Italexit. Si chiude invece con un’Europa che, da matrigna com’era dipinta, torna ad apparire, quasi ad essere invocata come madre protettiva. In terzo luogo, sul ruolo dell’Occidente. A partire dalla presidenza Obama, e con più energia con quella Trump, gli Usa hanno progressivamente allentato il loro storico vincolo con le democrazie europee e, sulla sua scia, hanno contribuito a far perdere alla Nato la sua originaria missione e persino la giustificazione stessa della sua esistenza. Di colpo al contrario l’Alleanza atlantica è tornata a riguadagnare il ruolo di baluardo dell’Occidente contro le mire aggressive della Russia.

Non di meno, in tema di patria. Prima la memoria dell’infinita tragedia procurata al Vecchio Continente da un’esasperazione bellicista dell’idea di nazione, poi la presa d’atto di una globalizzazione apparentemente vincente hanno reso inattuale e quasi fatto estinguere l’idea di patria. La reazione corale degli ucraini in difesa della loro terra riporta di forza il valore della patria come un sentimento ancora sorprendentemente operante anche nel mondo del disincanto post-ideologico.

E ancora, e soprattutto, a proposito di democrazia e libertà. Non c’è occasione in cui non si ripeta fino alla noia che la libertà non è per sempre, che essa va costantemente tutelata da ogni insidia, che va salvaguardata con una vigilanza continua. Il tragico spettacolo offerto da un popolo che non esita a mettere in gioco la vita per la difesa (disperata e purtroppo condannata alla sconfitta) della propria terra dall’invasore ci ammonisce che la libertà non è gratis. La Germania, nazione che ha messo al bando la guerra dopo l’inferno scatenato con il nazismo, ha stanziato cento miliardi per l’armamento. Da noi, il governo Draghi, col sostegno corale di maggioranza e opposizione, ha deciso di inviare armi all’Ucraina (armi purtroppo letali, con buona pace di Salvini che difende strenuamente il diritto di ciascuno a difendersi dall’incursione di un ladro in casa ma è restio a riconoscerlo a una nazione aggredita), con la promessa per di più, in caso di necessità, di attuare «una reazione più dura e punitiva». Gli stessi dimostranti pacifisti che agitano nelle piazze la bandiera arcobaleno sono costretti ad accoppiarla con scritte in cui intimano all’armata russa go home. Indirettamente, non finiscono col perorare la causa della «guerra giusta», giusta almeno quando l’aggredito si difende dall’aggressore?

Nulla sarà come prima. Non lo sarà nella vita politica internazionale e interna e, ci stiamo rendendo conto, anche nel nostro approccio al futuro.

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