Nessuno può cedere: il futuro è nelle mani
di Stati Uniti e Cina

Non sembri cinico nei confronti delle sofferenze degli ucraini, di cui parleremo più avanti, ma la notizia di ieri è che la diplomazia non ha dato notizie, non ha perso tempo con le iniziative pubbliche, clamorose e inutili, e si è invece dedicata ai contatti riservati, discreti e produttivi, gli unici capaci di portare risultati. Non entra in questo novero la visita a Kiev del premier polacco Morawiecki con i colleghi della Repubblica Ceca Peter Fiala e della Slovenia Janez Jansa, che non era una missione politica (la posizione della Ue è nota e chiara) ma piuttosto un’iniziativa di solidarietà con il presidente ucraino Zelensky.

Parliamo, invece, dei contatti a distanza (ma siamo sicuri che si parlino solo al computer?) tra i russi e gli ucraini e, soprattutto, di quelli tra Usa e Cina, che non si sono certo risolti con l’incontro-fiume, a Roma, tra Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, e Yang Jiechi, capo della missione esteri del Partito comunista cinese.

Le indiscrezioni, che sarebbe più corretto chiamare strategia di propaganda, di parte americana sulla presunta volontà cinese di riarmare la Russia sono sempre state poco credibili, è poco cinese immischiarsi in una guerra che sconvolge il fluire dei commerci e la crescita economica, l’unica forma di stabilità che Pechino abbia a cuore.

Certo è che Usa e Cina sono gli unici Paesi che possano mettere una parola decisiva, essendo gli unici Paesi che traggono un utile dall’inutile strage ucraina: gli Usa avendo compattato l’Europa sulle proprie posizioni, la Cina essendo ormai pronta a profittare delle difficoltà russe per mettere sotto tutela l’immenso patrimonio di risorse naturali degli Urali e della Siberia.

Il prossimo viaggio di Biden in Europa sembra l’occasione perfetta per un’informativa agli alleati. Sarà un caso ma anche alle parti direttamente interessate, ucraini e russi, sfuggono commenti più positivi di prima.

Sul campo di battaglia, come prevedibile, lo scorrere dei giorni incrudelisce lo scontro. Gli ucraini cominciano a bombardare le città del Donbass mirando ai civili (21 morti in strada a Donetsk) e non è un buon segno, sa di disperazione. Giunge infatti da Kiev la notizia del siluramento del generale Oleksy Pavlyuk, comandante del fronte orientale.

I russi strangolano le città, da Mariupol’ a Khar’kiv, alla faccia della presunta guerra-lampo mancata e delle topiche vere o presunte dei loro 007. Tagliano i collegamenti, colpiscono i palazzi, seminano il terrore, mentre cresce l’ansia per un attacco finale su Kiev forse rimandato ad arte. A questo punto, il problema non è che nessuno vuole cedere ma che nessuno può cedere. Se il presidente Zelensky cedesse adesso, si ritroverebbe con un Paese monco di quasi tutto ciò che contribuisce a tenerlo in piedi: le miniere, le centrali nucleari, le grandi industrie, i porti. I sacrifici della resistenza sarebbero stati vani, non resta che sperare negli aiuti americani ed europei.

Analogo discorso vale per la Russia: per invadere l’Ucraina e restituire una postura imperiale alla Russia, Putin ha sfidato mezzo mondo e una parte del suo stesso popolo, ha messo a rischio l’esistenza stessa del suo Paese. Deve vincere. Oggi, contro questo rigurgito di imperialismo russo, le speranze più solide sono affidate ai patteggiamenti tra imperialisti americani e cinesi.

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