Voto, i programmi e lo sguardo oltre

Si sono da poco completate le liste elettorali per il prossimo 25 settembre e ora inizia il periodo nel quale i candidati cercano di coltivare il proprio elettorato diffondendo idee e annunciando futuri provvedimenti. Questo non deve stupire, anzi è del tutto naturale. Tuttavia, quelli che mancano o che non trovano spazio, al momento, sono un paio di elementi.

Il primo è una visione di insieme: ci si candida, è vero, per ottenere il supporto di una parte degli elettori e quindi si sollecitano i tasti di maggiore sensibilità per i singoli gruppi. Tuttavia, chiunque vincerà si troverà a governare tutto il Paese, l’intera collettività, e le difficoltà dell’agire saranno tanto maggiori quanto più mancherà l’idea di società che si vuole promuovere. Giusto, ad esempio, avere riguardo per i pensionati attuali e prossimi ma occorre considerare anche la situazione delle giovani generazioni che iniziano tardi il lavoro, versano contributi modesti e irregolari e che sono nel regime totalmente contributivo. Giusto ancora pensare agli stipendi degli insegnanti ma l’idea di portarli a livello europeo si deve misurare con il mercato e la ricchezza del Paese. Giusto, infine, chiedere un’Europa meno burocratica e più attenta ai problemi dei flussi migratori ma anche pensare che siamo un Paese che da oltre dieci anni sta sotto l’ombrello finanziario protettivo dell’Unione (ne sanno qualcosa i turchi con la lira svalutata di oltre il 200% sull’euro e un’inflazione superiore all’80% quest’anno).

Potremmo proseguire e percorrere l’intero arco costituzionale con molte delle proposte presenti nei programmi delle varie liste. Siamo di fronte a singole idee che strappano rispetto a un equilibrio complessivo, il quale però si può spostare democraticamente solo per piccoli passi e con grande tenacia nel tempo. Questo è peraltro il senso del Pnrr: risorse per cambiare e migliorare il Paese nel suo insieme.

Il secondo elemento è un po’ di creatività. Nel mondo scientifico e anche d’impresa si parla spesso di «pensiero laterale», ovvero della capacità di affrontare i problemi in modo non tradizionale, di vederli da una differente angolatura. Proviamo, ad esempio, a pensare alla questione previdenziale. È legittimo chiedere una revisione del modello che prevede un continuo innalzamento dell’età pensionabile, soprattutto quando la gran parte degli attuali pensionati ha abbandonato il lavoro parecchio prima delle attuali soglie, con una pensione superiore ai contributi versati. D’altro canto, è giusto sottolineare come i conti previdenziali debbano risultare sostenibili e non spostarsi troppo dai già malconci equilibri. Mi chiedo: ha senso insistere sempre su questi elementi? Si può discutere qualcosa di nuovo? Ad esempio, perché non prevedere la possibilità di una «quota di lavoro» che cala nel tempo e una «quota di pensione» che aumenta nel tempo, magari a partire dai 60 anni? Sarebbe più semplice accompagnare l’affermarsi del metodo contributivo senza far perdere reddito e in cambio di una quantità di lavoro che cala nel tempo ma che non passa da 100 a 0 da un mese all’altro.

E si potrebbe proseguire sugli altri grandi temi, come quello dei giovani e dell’attrattività dell’Italia nei loro confronti, che oggi manca del tutto a favore di Germania, Francia e Olanda. E, da ultimo, mi si permetta una provocazione in tema di legge elettorale, come rimedio ai livelli estremi raggiunti dalla disaffezione per la politica, testimoniati dalla continua riduzione nella partecipazione al voto. Si potrebbe dire all’elettore di dare un punteggio pari a 1 alla lista preferita, 0,5 alla seconda e zero a tutte le altre. E chi rifiuta l’intera offerta politica può lo stesso votare e dare zero a tutti, così non si astiene e il suo voto è visibile. Con questo metodo, probabilmente, si indebolirebbero le liste più radicali e ciascuno di noi potrebbe non essere contento perché non ha vinto la sua lista, ma anche più rilassato perché ha perso quella che ritiene molto distante. È solo un altro esempio di pensiero laterale, discutibile fin che si vuole, ma che almeno prova ad uscire dalla situazione di intricata governabilità che ha caratterizzato la legislatura che si sta per chiudere.

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