«I ragazzi non fenomeni, buoni giocatori»
Favini e la lezione: i giovani secondo me...

Il 5 febbraio 2017 era sceso in campo con la maglia numero 81 in mano. Era stato lui l’ospite d’onore dell’Atalanta, osannato dai tifosi bergamaschi allo stadio.

Mino Favini era lì, in mezzo al campo, un attimo prima del via di Atalanta-Cagliari: tra le mani aveva una maglia nerazzurra con l’81 sulle spalle, le candeline che aveva soffiato pochi giorni prima, gliela aveva consegnata Antonio Percassi. «Ogni volta qui è sempre una grande emozione, l’invito e la maglia dalla famiglia Percassi mi fanno immensamente piacere» aveva detto Mino, gli occhi gioiosi.

Sono stati ventiquattro gli anni di Favini all’Atalanta, col ritorno di Mino al Como, l’altro spicchio di cuore, per guidarne il vivaio. Tanti i talenti scoperti da quest’uomo e tanti i ricordi: l’epopea della Banda Prandelli, il genio di Morfeo, le lacrime per Chicco Pisani, e via ancora passando per gli Zenoni, Donati, Montolivo e Pazzini, Bonaventura. E poi ancora: Caldara, Conti, Rossi, Raimondi, Grassi, e pure Bastoni e Kessie.

«Vediamo tanti giovani del vivaio protagonisti, si raccolgono i frutti del lavoro svolto per tanti anni» aveva detto in quell’occasione. «Il ragazzo che più mi ha stupito? Ripeto ciò ho detto in altre occasioni: i nostri ragazzi non sono fenomeni, ma buoni giocatori che lavorano bene e danno tutto. Lo sta dimostrando chi è già andato in una grande squadra: il salto non ha pesato, anche in quei contesti si stanno facendo valere. E non solo sul piano tecnico: anche su quello umano, soprattutto».

Come aveva detto nel 2011 in una lezione ai bambini: «Ho sempre guardato le attitudini, il rapporto naturale con la palla che il bambino ha - aveva spiegato -. Tutti vorremmo il fisico corretto e la bravura tecnica. Ma io penso e ripeto sempre: la categoria la fa la testa, non i piedi». Con una distinzione: «Tutti giocano a calcio, pochi giocano e vedono, ma pochissimi giocano, vedono e prevedono. Questa è l’importante distinzione».
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