«Giudice, le giuro di essere vivo». Udienza tra l’ironico e il surreale

«Signor giudice, le giuro di essere vivo». È stato un passaggio tra l’inverosimile e l’ironico quello che ha caratterizzato, lunedì mattina in tribunale a Bergamo, un’udienza civile.

Tutta colpa, pare, di un banale e involontario scambio di generalità. Così il giudice – non certo per colpa sua – pensava di trovarsi di fronte una persona, quando invece ce n’era un’altra. Nello specifico, il figlio di un uomo morto alcuni mesi fa. E del quale proprio il figlio era stato il tutore.

«Credo per via di un banale errore sulle carte, il giudice pensava di trovarsi di fronte mio padre per il cambio del tutore, in quanto riteneva che il tutore fosse morto – spiega l’interessato –. Invece il tutore ero io e il morto era mio padre».

La vicenda si è rapidamente chiarita, quando il figlio, davanti al giudice, ha spiegato di non essere il genitore, in quanto defunto. Di lì il vorticoso paradosso della burocrazia che insidia anche le aule di tribunali, sottoposte a decine e decine di udienze, che possono sfociare anche in qualche disguido, indubbiamente non grave e, come in questo caso, dal risvolto quasi comico.

A quel punto, infatti, il tutore ha dovuto giurare, in pratica, l’ovvietà di essere vivo: «Sono stato convocato in tribunale senza saperne il motivo, ma immaginavo fosse per la morte di mio padre e per la chiusura della tutela – riepiloga divertito l’interessato –. Mi sono sentito invece dire che io, tutore, sono morto e che si deve nominare il mio successore. Il tutto è stato subito chiarito e alla domanda “Mi giura di non essere defunto?”, per un attimo ho tentennato, credendo di trovarmi in un universo parallelo. Poi mi sono fatto coraggio e ho preso coscienza dell’accaduto: “Giuro di essere vivo”, ho sentenziato». Il giudice ha compreso la situazione e fissato per gennaio una nuova udienza per la cessione formale della tutela. Avendo ormai ben chiaro – con tanto di «giuramento» – chi fosse vivo e chi morto.

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