«L’uomo che guardava la montagna», esordio del narratore Calvi

In libreria «I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi». Leggendo le pagine del libro di Massimo Calvi, «L’uomo che guardava la montagna» (San Paolo, pp. 183, euro 16) tornano alla mente le parole di Goethe.

Alla montagna puoi confidare i tuoi pensieri, sa ascoltare e tacere, ma anche suscitare ricordi, emozioni, sembra dire lo scrittore e poeta tedesco. «Ho voluto raccontare la storia di una persona che, alla fine dei suoi giorni, chiede di essere portato a trascorrere il tempo che gli resta davanti alla montagna a cui è legato. Fa una sorta di bilancio della sua vita», dice Calvi, narratore esordiente e giornalista del quotidiano «Avvenire».

La trama del libro
Un uomo alla fine dei suoi giorni, chiuso nel suo corpo, chiede di essere portato a trascorrere il tempo che gli resta davanti alla montagna a cui è legato. Cosa cerca l’uomo? E cosa rappresenta la montagna? Una storia che si dipana in dodici giorni (più uno), un viaggio interiore alla ricerca di se stessi. Non una fuga dalla realtà, ma un ritorno a casa. Restare, non scappare. E la montagna è un’occasione per parlare della madre, del padre, di Dio, della fede, dell’amore, della formazione dei figli, del desiderio, del rapporto con la natura, del cammino nella vita... Un romanzo costruito attorno agli elementi - acqua, aria, fuoco, pietra, legno, erba - che caratterizzano la montagna e diventano, di volta in volta, strumento per costruire un’appartenenza o momento di preghiera, si fanno memoria o carne.

L’autore, caporedattore centrale di Avvenire, appassionato di montagna per il suo racconto si è ispirato anche alle vette orobiche e a Bordogna di Roncobello, «luoghi meravigliosi dove sono cresciuto».

L’intervista a Massimo Calvi su L’Eco di Bergamo di giovedì 16 giugno 2022

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