Olmi: l’Europa si deve fare
Ma serve un dialogo democratico

Emanno Olmi è in grande forma. Nell’appartamento a Milano sorride e giganteggia con quel fisico severo che si posa con misurata lentezza sul piccolo divano azzurro, mentre la moglie rincasa con il giornale in mano. Non gli piace come vanno le cose, ma trova anche motivi di speranza.

Emanno Olmi è in grande forma. Nell’appartamento a Milano sorride e giganteggia con quel fisico severo che si posa con misurata lentezza sul piccolo divano azzurro, mentre la moglie (sempre una presenza più che discreta) rincasa con il giornale in mano. Non gli piace come vanno le cose, ma trova anche motivi di speranza.

Qualche sera fa è stato a parlare di teologia e del cardinal Martini, il che lo ha reso felice, poi è in partenza per la sua Asiago. Sull’Altopiano ha appena finito le riprese di «Torneranno i prati».

Una faticaccia da pastori lunga sette settimane, lassù in val Formica, a quota 1.800, con quattro metri e mezzo di neve che hanno cancellato le trincee.

Esatto, parliamo di trincee della Prima guerra mondiale e in quell’inferno c’era anche papà Olmi. Storia di fantaccini, di povera e brava gente, di uomini orfani della gloria ufficiale e catapultati in tragedie governate dai generaloni, ma per il Maestro anche un ritorno a quando era giovane.

Prima «Il sergente nella neve» di Mario Rigoni Stern, il suo grande amico ormai scomparso e dirimpettaio di casa al limitare del bosco, il film che portò Olmi negli anni ’60 a stabilirsi ad Asiago.

E poi «I recuperanti», la narrazione di quegli ultimi che, dopo la Grande guerra, per sopravvivere rischiavano la vita appunto per recuperare i residuati bellici. Esistenze silenziose e umiliate nel mattatoio trincerato, ordine europeo disintegrato: tutto si lega, dal personale al collettivo.

Poi, però, «torneranno i prati», ma sotto cosa troveremo? L’universo simbolico del regista e il suo schema narrativo, ovvio, mica sono la piccola patria alpina ma l’Europa democratica e solidale, l’epopea popolare, oggi minacciata («Guarda cosa oso dire», scandisce, alzando il tono della voce) da «politiche criminali» in chiave razzista.

Un’attualità ruvida che Olmi osserva, dal microcosmo del bosco asiaghese degli urogalli alla metropoli lombarda, con lo stupore e l’innocenza di un bambino, alla maniera della descrizione dell’amatissimo Tolstoj dei «Quattro libri di lettura» che il regista porta sempre con sé: «Toccasse a me – dice con lo slancio dell’umanista che sa di andare controcorrente rispetto al becerume imperante –, proporrei questa raccolta di favole come il testo per formare il cittadino europeo».

Lei è un europeista da sempre: che cosa ci può dire l’intellettuale di oggi?

«È chiaro che l’Europa si deve fare: ce lo chiede la storia, non possiamo fermare i percorsi che la storia stessa sceglie ancor prima di noi. Oggi non è più concepibile nemmeno un’Europa di nazioni, ma deve esserci una sovranazione e in questo caso la parola nazione va virgolettata: indica un’area con gli stessi fini e, tenendo conto dell’esperienza di ciascun Paese, lì dovrebbe nascere un dialogo democratico per trovare la via migliore nel dare a tutti quel che gli è stato tolto e quindi mettendo in atto un equilibrio di giustizia che non può essere ignorato. In caso contrario, i problemi generati da questa trascuratezza finiscono nelle piazze, con la rivolta di popolo».

L’intervista integrale su L’Eco di Bergamo del 24 maggio 2014

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