Pasotti, l’Oscar vinto in differita:
«La cerimonia? L’ho registrata»

Giorgio Pasotti se lo è visto consegnare in differita questo «Oscar collettivo» per «La Grande bellezza», il film di Paolo Sorrentino che a Los Angeles è stato premiato come miglior pellicola straniera. Non ha preso un aereo per la California.

Giorgio Pasotti se lo è visto consegnare in differita questo «Oscar collettivo» per «La Grande bellezza», il film di Paolo Sorrentino che a Los Angeles è stato premiato come miglior pellicola straniera. Non ha preso un aereo per la California, ha snobbato la festa degli Italians di LA (che da giorni erano erano già là a far festa sui boulevards, anche se scaramanticamente di fronte alle telecamere glissavano), e ha snobbato anche il «gruppo d’ascolto» romano con Carlo Verdone e Sabrina Ferilli in testa: «Lo so, molto gentilmente mi hanno invitato ma ho preferito restare a casa».

Giorgio ha preso l’automobile ed è partito con la famiglia per qualche giorno sulle nevi delle Dolomiti. «È il modo migliore per festeggiare questo momento» dice. Prima però si è visto la cerimonia del Dolby Theatre: «Me la sono registrata. Io non riesco proprio a star sveglio la notte», le vecchie abitudini da sportivo e da bergamasco, anche qui, dopo anni nella decadente Roma sorrentiniana non si sono perse.

Giorgio non è tipo da feste sulle terrazze aspettando l’alba: «Mi sono alzato presto ieri mattina, e dalle 7 in poi mi sono guardato tutta la cerimonia». Senza neanche fare un fast forward e andare a vedere subito com’era andata a finire? «No, assolutamente, giuro che non l’ho fatto. Me la sono goduta piano piano, come se fosse una diretta».

Felice?

«Veda lei».

Com’è stato il momento clou?

«La verità è che fino all’ultimo non trapela nulla, quella dell’Academy è veramente un’organizzazione molto seria. Noi avevamo tutti i pronostici a favore ma fino all’ultimo, fino all’apertura della busta, finché non è stato pronunciato il titolo del film io ero molto in ansia. Contro di noi, poi, c’erano dei film importanti, il danese “Il sospetto” e quello belga, “Alabama Monroe”, che aveva appena vinto il Cèsar in Francia... La concorrenza era agguerritissima. Quel momento, per dirla tutta, per me è stato anche un po’ una liberazione, ormai s’era creata una tale aspettativa che non vincere l’Oscar sarebbe stato abbastanza deludente».

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