
Delta Index
Venerdì 06 Giugno 2025
«L’IA siamo noi (ma scuola e lavoro non lo sanno)». Chi li prepara a usarla bene?
CAPITALE UMANO. L’intelligenza artificiale è già parte della quotidianità della Gen Z, ma mancano percorsi formativi adeguati a scuola e in azienda. Il risultato? Giovani che la usano senza guida, imprese che non colgono il potenziale e un nuovo digital divide fatto di solitudine e mancate opportunità.
Per molti adulti è ancora un oggetto misterioso, per i giovanissimi è già uno strumento di uso quotidiano. L’intelligenza artificiale, per la Generazione Z, non è una promessa lontana. È una realtà già interiorizzata. Si usa per scrivere, tradurre, creare, studiare. Ma c’è un problema non irrilevante: il mondo del lavoro e quello della scuola non sono ancora pronti ad accoglierla nel loro sistema.
Lo conferma il rapporto “Voices of Gen Z – Preparing the Heartland for an AI Future”, pubblicato da Gallup e Walton Family Foundation. In questo articolo analizziamo la ricerca dal punto di vista dell’Osservatorio Delta Index che esamina i report per approfondire il tema verticale aziende-Gen Z anche in chiave internazionale ed avere un confronto con il nostro Paese. La ricerca si concentra sugli Stati centrali degli USA e indaga come la Gen Z stia affrontando il presente e il futuro dell’intelligenza artificiale. I numeri parlano chiaro: il 77% dei giovani tra i 13 e i 28 anni utilizza strumenti di IA generativa come ChatGPT, Copilot o Gemini e il 43% lo fa almeno una volta a settimana. Eppure, solo il 10% degli studenti delle scuole superiori si sente preparato a usarla in ambito lavorativo. Soltanto il 9% dei giovani già occupati si definisce “estremamente preparato” nel proprio ruolo attuale.
L’utilizzo dell’IA a scuola...
Le ragioni stanno nel vuoto che separa l’adozione personale dalla formazione sistemica. Solo il 26% degli studenti afferma che l’uso dell’IA sia esplicitamente permesso a scuola. Oltre la metà, invece, segnala che non esistono regole. Dove l’uso è autorizzato, l’adozione cresce: il 66% degli studenti che possono usare l’IA in ambito scolastico lo fa almeno settimanalmente. Contro il 44% dove è vietata o ignorata.
...e nel mondo del lavoro
E non va meglio nel mondo del lavoro. Il 36% dei giovani lavoratori dichiara che l’uso dell’IA è consentito, il 31% non sa se lo sia o sa che è vietato. Un altro 33%, invece, è convinto che “non esista” per il proprio ruolo. Tra chi lavora in ambito STEM, il 61% si dice almeno parzialmente preparato. Nella sanità la quota scende al 22%, nei lavori manuali e nei servizi al 30%, nei settori educativi al 43%. Solo il 12% dei giovani ha ricevuto una formazione aziendale sull’IA e solo il 16% la definisce “estremamente utile”.
Meglio avere una guida
In questo scenario, non sorprende che meno della metà degli intervistati (48%) creda che l’IA aumenti l’efficacia del lavoro e solo il 39% che ne riduca gli errori. Il problema, quindi, non è l’intelligenza artificiale. È l’assenza di una cornice che ne renda l’uso comprensibile, utile, guidato. Dove le regole ci sono, le cose cambiano. Dove i genitori la usano, anche i figli la esplorano: il 73% dei giovani con genitori utenti frequenti dell’IA la usa a sua volta, contro il 36% degli altri.
La familiarità con l’IA non è sufficiente
La familiarità non basta, serve legittimazione. E serve contesto. In assenza di accompagnamento, si crea un nuovo digital divide, fatto non più di accesso o di hardware, ma di consapevolezza. L’IA diventa un indicatore di modernità, di cultura aziendale, di credibilità. Le imprese che la integrano nei processi, che formano le persone, che ne parlano apertamente, risultano più attrattive agli occhi di una generazione che cerca possibilità prima ancora che stabilità. La Gen Z non chiede protezione dall’intelligenza artificiale: chiede gli strumenti per farla funzionare e per farne una leva di crescita. Le aziende che lo capiranno avranno un vantaggio competitivo enorme. Le altre rischiano di restare a guardare.
Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index
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