Brivido nero per Grisham
con «L’ombra del sicomoro»

Quasi venticinque anni dopo, John Grisham ci riporta «là dove tutto è cominciato»: con «L’ombra del sicomoro», il romanziere del Deep South Usa torna all’ambientazione, al protagonista, ad alcuni personaggi (lo sceriffo Ozzie) del suo primo romanzo: «Il momento di uccidere» (1989).

Quasi venticinque anni dopo, John Grisham ci riporta «là dove tutto è cominciato»: con «L’ombra del sicomoro», il romanziere del Deep South Usa torna all’ambientazione, al protagonista, ad alcuni personaggi (lo sceriffo Ozzie) del suo primo romanzo: «Il momento di uccidere» (1989).

Non mancano autocitazioni/ricuciture. Clanton, Ford County, Mississippi, 1988. L’avvocato Jake Brigance, tre anni prima, ha vinto la sua causa più importante, ottenendo l’assoluzione di Carl Lee Hailey, nero che aveva ucciso i due bianchi violentatori di sua figlia (vedi film di Joel Schumacher). Ora Brigance si trova, del tutto inaspettatamente, al centro di una nuova battaglia di tribunale. Il 2 ottobre Seth Hubbard, facoltoso uomo d’affari, malato terminale di cancro, si toglie la vita. Il suo cadavere viene ritrovato appeso a un albero di sicomoro. Il giorno dopo Brigance riceve una lettera del suicida, che accompagna il suo testamento olografo. Completamente, livorosamente esclusi dall’eredità figli, nipoti ed ex mogli; praticamente tutto va alla cameriera di colore, Lettie. Prodromi perfetti per una «guerra» legale senza quartiere. Seth era «fuori di testa», magari a causa di chemio e antidolorifici, quando ha redatto il testamento? Grisham torna alla questione razziale, che considera tutt’altro che risolta, e alle radici del genere di cui è considerato il padre: il legal thriller. Ove, laureato in legge e avvocato per circa un decennio, anche lui, in una piccola città del Mississippi, dà, della categoria, ritratto non proprio lusinghiero: mangiasoldi, cinici, avidi, interessati, pronti ad allungare il più possibile i processi per gonfiare le parcelle. Così Russell Amburgh, esecutore testamentario scelto da Hubbard: «Sono stato anch’io avvocato, prima di trovarmi un lavoro onesto». Ma anche la società in cui nuotano questi pirana, sia il Mississippi rurale o l’intera America, non fa figura molto migliore: tutto ruota intorno ai soldi.

A parte queste, un po’ ruvide, semplificate, manichee, valenze sociali: se i migliori gialli/noir/thriller italiani danno largo spazio alla costruzione/restituzione di psicologie, pensieri, monologhi interiori, emozioni, questi americanissimi thriller sono molto più sbilanciati verso l’azione (anche minimale), il dialogo, il plot: scrittura che anticipa già la sceneggiatura, se non l’inquadratura.

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