Il Kokoshka
di Camilleri

Sembra un Camilleri affatto lontano e diverso dal romanziere, giallista e padre di Montalbano. Un Camilleri, questo de «La creatura del desiderio» (Skira, pp. 137, euro 14,50), quasi biografo, filologo, curioso di storia di temi e di miti. Eppure, anche nella ricostruzione dei folli amori del pittore Oskar Kokoshka e della splendida Alma Mahler, vive più di qualcosa del romanziere, persino del giallista.

Sembra un Camilleri affatto lontano e diverso dal romanziere, giallista e padre di Montalbano. Un Camilleri, questo de «La creatura del desiderio» (Skira, pp. 137, euro 14,50), quasi biografo, filologo, curioso di storia di temi e di miti. Eppure, anche nella ricostruzione dei folli amori del pittore Oskar Kokoshka e della splendida Alma Mahler, vive più di qualcosa del romanziere, persino del giallista.

Vienna, 1911. Kokoshka è un giovane pittore apprezzato dai circoli artistici ma stroncato dalla critica (un «folle», un «degenerato», un «selvaggio»). A casa di Carl Moll, noto collega assai più anziano di lui, conosce una delle sue figliastre: nientemeno che Alma Mahler, la donna «più in vista» di quella Vienna in piena ubriacatura da Belle Epoque. Già amante, a diciotto anni, del famoso Klimt, poi moglie del compositore Gustav Mahler, di cui è da poco rimasta vedova. Non certo inconsolabile. Mantide golosa di uomini non comuni, capace di sedurre (se-ducere) i protagonisti della vita artistica della capitale della Mitteleuropa, è curiosa di questo giovane ribelle di cui tanto si parla. Incontratolo a casa del patrigno, lo conquista in un nulla. Oskar scopre la passione, un misto incoercibile di felicità assoluta, appagamento totalizzante ma anche struggente emorragia psichica, gelosia e possessività estrema, persino retroattiva. Sogna di divenire una creatura sola con lei: la fusione totale. Ma è sogno impossibile, delirio di fusionalità.

«L’amore dura tre anni», titola un film di Frédéric Beigbeder. Passato il tempo-canone, sentendosi soffocata lei lo lascia, dopo avere abortito un figlio suo. Come da copione, come in un epitaffio di De André lui parte per il fronte, a cercar la bella morte: «Non avevo niente da perdere né da difendere». Ferito gravemente, cercherà soddisfazione in un simulacro, una copia perfetta di lei, con cui vivere, finalmente, la tanto agognata unione perfetta. Ma, anche questa, non durerà.

I modi della fine resuscitano, più evidentemente, il Camilleri romanziere e financo giallista: un Camilleri attratto dai meandri, dalle profondità delle passionalità estreme, morbose, border, se non ultra, line. Vicino, per certi aspetti, a quello de «Il tuttomio» che ricostruiva, a modo suo, la tragica vicenda dei Casati Stampa. In entrambi i casi, soppressione finale dell’oggetto d’amore.n 
Vincenzo Guercio

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