«Mi sono vaccinata per il bene di tutti». Rosalba: la fiducia è decisiva

Proseguono le nostre interviste a personaggi bergamaschi che parlano del vaccino anti-Covid e raccontano la loro esperienza. É la volta di Rosalba Piccinni.

«Sono andata a vaccinarmi e ho cantato “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli perché quei militari che erano lì ad aiutare la gente, a organizzare le code e a dare una mano ai più anziani e deboli, avevano bisogno di qualcosa di bello. Di parole belle, di musica, di normalità». Rosalba Piccinni la conoscono tutti come la «cantafiorista»: l’ha coniato lei questo mestiere che unisce le sue due doti principali: saper «dialogare» con i fiori e cantare con meraviglia. Bergamasca, da alcuni anni vive a Milano e nel capoluogo lombardo ha vissuto i lockdown e anche il Covid, che ha contratto nell’ottobre del 2020.

Lo ha preso anche lei?

«Sì, l’ho capito subito dalla febbriciattola che avevo, la stanchezza infinita, e la tosse che non se ne andava. Sia io che il mio compagno abbiamo contratto il virus ma siamo stati fortunati, perché ci siamo curati in casa, con il medico al telefono, e senza bisogno di andare in ospedale. Sono state settimane complicate anche perché il tampone era sempre negativo, ma mi era chiaro che c’era qualcosa che non andava. Allora ho fatto il test sierologico ed è risultato che ero positiva. Sono iniziati giorni di isolamento. Di silenzio e apprensione, per me e per gli altri che erano lontani».

I social sono stati un contatto importante con il mondo esterno.

«Mi sono tolta da tutto e da tutti per un mese e solo il web mi ha permesso di sentirmi vicina a chi amavo. Per una come me, abituata a stare sempre in mezzo alla gente, è stato un cambiamento incredibile. Anche questa è stata un’opportunità, un modo per riflettere sulla propria vita e sulle relazioni. La vita e i suoi dolori, nonostante tutto, sono sempre delle opportunità che ci hanno reso più consapevoli, più forti. Che ci dovrebbero far capire come siamo una comunità che deve combattere questo virus».

Era preoccupata durante i lockdown?

«Soprattutto nel primo. Pensavo alla mia città in ginocchio, agli amici e alla famiglia. Bergamo e i suoi morti erano la mia angoscia, pensavo ai miei tre fratelli e alle mie due sorelle; ai miei nipoti e ai tanti amici. Pensavo spesso a Giuliana (D’Ambrosio, ndr): lei, il suo carattere forte e determinato, era comunque sola e con la trattoria chiusa sapevo il dolore e l’apprensione che stava vivendo. Ci siamo sentite spessissimo: lunghi video, parole al telefono nel silenzio della casa».

E la musica?

«Immancabile. Durante i lockdown mettevo la cassa sul terrazzo, con le basi della musica del karaoke, e cantavo alla gente, a chi si affacciava alle finestre, sui terrazzi. Nel mio quartiere, quello della Rotonda della Besana, non conoscevo nessuno: ci siamo iniziati a scoprire così, attraverso le note della musica che ci ha alleggerito in quei giorni in cui si galleggiava tra i timori e le speranze».

Quando si è vaccinata? Ha avuto remore?

«Sono stata dubbiosa al principio, ma è perché sono una fifona e quando ci sono degli aghi di mezzo vado nel pallone. Ma qui la paura non c’entra nulla e il vaccino era ed è da fare, per il bene comune. Ci ho ragionato e ho soprattutto pensato a tutti gli uomini e le donne che stanno lavorando per la comunità. Negli anni, in un percorso che mi ha portato fin qui, ho infatti capito molto bene che nella vita bisogna iniziare a fare, ad agire. E qui si sta facendo del bene per se stessi e per gli altri».

Ci sarà stato chi l’ha contestata.

«Non è una questione che mi interessa molto, sono sempre stata una che lascia vivere, che rispetta il prossimo e l’opinione altrui, ma in questo caso bisogna capire che il vaccino attualmente è l’unica arma che abbiamo e ha dimostrato fin ad oggi che può fare del bene. Può difenderci dal virus. Il vaccino ci ha permesso di tornare a stare con gli altri, ci ha fatto ripartire, lavorare. Ci ha permesso di tornare a vivere».

Quando si è vaccinata?

«Appena ci è stata l’occasione: mi sono vaccinata a Milano, dove vivo, tra l’altro in un hub vicino a casa, con i militari dell’Aeronautica in servizio. Sono una pasticciona con la tecnologia e sono andata a vaccinarmi senza la prenotazione. Mi sono messa in coda e quando ho chiesto aiuto perché ero senza il codice di prenotazione, mi sono trovata di fronte delle persone disponibili, gentili e organizzate. I volontari e i militari sono stati una squadra perfetta. Con un aneddoto divertente: c’è chi mi ha riconosciuto per la trasmissione televisiva “Quattro Ristoranti”, dove ho partecipato per il mio locale di Milano, e abbiamo chiacchierato un po’, come si fosse tornati alla normalità. È in quell’occasione, mentre mi vaccinavano, che mi sono messa a cantare “Il cielo in una stanza”. Serviva un po’ di leggerezza, con quelle parole così poetiche e libere. Poi, per la seconda dose, mi sono trovata nelle mail alcuni messaggi dei volontari che mi ricordavano di tornare a vaccinarmi: mi sono presentata con una cassa d’uva, mi sembrava un bel gesto per ringraziarli per un lavoro così efficiente. Sono rimasta molto colpita».

Da che cosa?

«Dall’organizzazione. Non solo dalla professionalità, ma dall’educazione, il rispetto e l’umanità».

Quando la terza dose?

«Secondo la regola dei cinque mesi a fine gennaio. Mi auguro che tutti capiscono quanto ci sia bisogno di proteggersi, soprattutto ora con le nuove varianti e il virus che continua a mutare. Soprattutto ora che abbiamo ripreso a vivere, c’è bisogno di fare squadra per continuare a credere alla vita, con speranza e bellezza. Dobbiamo stare attenti, dobbiamo fare del bene a noi stessi e a gli altri».

Vivere con bellezza è un tema su cui basa la sua vita e la sua carriera: la musica, i fiori, il ristorante. Nel lockdown si è inventata delle box a domicilio che infondevano bontà e bellezza.

«C’era quella del casoncello, che ha voluto anche Chiara Ferragni da inviare alla sua mamma: nella box il piatto tipico bergamasco, tanto che una quota della box è stata devoluta all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Poi c’era la Pota Box, con i fiori e una serenata registrata».

Se la cantafiorista non può andare a domicilio, ci va attraverso il web?

«Ho registrato le canzoni, audio e video, e con un podcast online arrivava al destinatario la canzone e anche un video da scaricare in Rete. Ho combattuto il Covid anche così: donando speranza alla gente, con parole delicate, melodie che fanno bene allo spirito».

In quel periodo la gente diceva che aveva bisogno di tornare a stupirsi.

«Ne abbiamo bisogno sempre, anche ora e forse anche di più con i timori di una nuova ondata che può limitare la nostra libertà, ancora una volta. Perché non è vaccinarsi che ci limita, lo fa il virus: dobbiamo dare fiducia alle persone che stanno studiando per noi, che ci stanno curando dentro e fuori dagli ospedali. Serve lasciarsi andare: io mi sono liberata dalle paure e ho agito d’istinto, fiduciosa nella scienza e nella ricerca che stanno lavorando da sempre e su più fronti. Non abbiamo tempo da perdere, spesso la risposta è semplicemente la fiducia. Dobbiamo avere cura di noi».

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