Roby Facchinetti : «Il vaccino è salvezza. Così rinasceremo»

Il cantante dei Pooh racconta la sua esperienza con il Covid passata anche attraverso la perdita di D’Orazio.

Roby Facchinetti è molto impegnato nella promozione del suo ultimo album «Simphony». Lo contattiamo mentre sta lasciando Padova, dopo un evento. Ê in macchina. «Riesco a parlare mentre guido, anche a camminare e masticare la gomma». Musicista multitasking dunque? «Insomma me la cavo. Si vede che la mia componente femminile è forte», scherza.

Fatta la terza dose?

«Già ottemperato, tempo fa, in uno dei nostri centri vaccinali, a Chiuduno. Centro fantastico, ben organizzato. Sono andato lì».

Quando un anno fa si è reso conto che la Cina era vicina e la prima ondata Covid ci ha travolto, come ha reagito?

«In effetti all’inizio si pensava che fosse un problema tutto cinese. Lontano. Poi quel primo caso di Codogno ci ha fatto un po’ impressione, ma mai si pensava che potesse essere l’inizio di quello che è stato. Chi credeva che il mondo fosse veramente un paese! Anzi, ora il mondo è diventato un condominio. Oramai dobbiamo imparare che le cose non succedono solo agli altri perché gli altri siamo noi».

Quando si è reso conto che la situazione era davvero grave?

«Al primo amico di famiglia che si è ammalato e se n’è andato nel giro di pochi giorni. Era andato alla famosa partita. Lì mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa di grave. Finché non ti tocca non ci pensi. Poi l’universo cambia. Poco dopo se ne sono andati due miei parenti e altre due persone che lavoravano per me. Altri due amici. I lutti che conto sono troppi. In casa eravamo tutti terrorizzati. Da una parte il lockdown, dall’altra le notizie. La città sembrava abbandonata, si sentiva solo il suono delle ambulanze. Ogni volta era un colpo al cuore».

Come ha vinto quel momento?

«L’ho vinto stretto alla mia famiglia. La musica mi ha aiutato molto. È durante il lockdown che è nata “Rinascerò, rinascerai”. Con tutto quello che accadeva intorno, fantasia e creatività si sono come acutizzate. C’era anche tanto tempo a disposizione. Tanto tempo per riflettere».

Sentiva gli altri amici dei Pooh?

«Certo, quotidianamente. Quello che accadeva nella nostra città era così grave che tutti si facevano sentire per capire cosa stesse accadendo davvero».

Nessuno in famiglia si è contagiato?

«No, nessuno».

Poi è arrivato il momento della falsa ripartenza e dopo poco il grande lutto di Stefano D’Orazio.

«È stato un fulmine a ciel sereno. Si è ammalato e se n’è andato in pochissimi giorni. E lì ho capito ancor meglio la modalità di questa tragedia dove si finisce in ospedale a morire senza nessuno, senza il conforto dei parenti, degli amici, di chi ti vuol bene. Credo che quello che è accaduto a Stefano e a tanti altri sia al di là di ogni pensiero umano. Nessuno poteva immaginare una situazione così dolorosa. Che crudeltà dire a una madre che non può salutare il figlio o viceversa. È una tragedia nella tragedia».

Alla fine di quell’anno terribile, all’inizio del 2021, anche in Italia arrivano i vaccini. Che impressione ha avuto, come si è posto rispetto all’ipotesi di vaccinarsi?

«Ho vissuto il vaccino come una salvezza. Ho una famiglia numerosa da gestire con tutto il buon senso possibile. Sono andato incontro alla prima vaccinazione come a una cosa da fare assolutamente. Senza esitazioni di sorta. L’idea che da vaccinato prendere questo maledetto virus sarebbe stato diverso mi confortava non poco. Prendere un cazzotto attutito è già qualcosa. Ammalarsi senza rischiar la vita non è cosa da poco. Tutti in famiglia ci siamo vaccinati di corsa».

Poi è arrivato il momento del Green pass, un lasciapassare anche lavorativo. Che ne pensa da artista?

«Dipende da come si vivono le cose. Credo che il Green pass sia un attestato che ha un certo valore, anche se aver fatto il vaccino non significa non contrarre la malattia. Diciamo che è un passo avanti nella sicurezza vaccinale. Credo che in questo tempo sia necessario esercitare il buon senso. Se non fossi vaccinato non mi sentirei tranquillo. Penserei all’ipotesi di contagiare qualcuno o essere contagiato».

Lasciando perdere le «filosofie» no vax, come si pone rispetto a chi non si vaccina, magari per paura? Cosa direbbe a un timoroso?

«Credo che ognuno dovrebbe aver paura di non potersi vaccinare, piuttosto che il contrario. Il buon senso mi fa dire questo. Poi credo che tutti siano padroni di fare le scelte che fanno, però anche in questo caso dovrebbe fare la sua parte il buon senso. Se uno sa di non essere vaccinato deve comportarsi in modo adeguato».

Torniamo alla musica. «Rinascerò…» è stato un successo planetario, l’ultimo firmato anche da Stefano, che ricordi ha? Come è nato quel pezzo?

«È nato in uno dei giorni più dolorosi e spaventosi della storia di noi bergamaschi. Quando quei carri dell’esercito italiano carichi di salme si sono messi in fila per quell’ultimo viaggio. Quell’immagine non la dimenticherò. All’inizio sembrava un colpo di Stato, invece era la verità di un momento tragico. Ero spaventato. Mi sono chiuso nel mio studio perché la musica mi aiutava a staccare dalla realtà. In qualche modo mi alleggeriva. Al pianoforte sono arrivate le note a commento di quello che avevo negli occhi. Volevo fare qualcosa per la mia città, dedicare una canzone a quel momento tanto difficile. Ricordo che telefonai a Stefano dicendo che gli avrei mandato una musica. Lui ha scritto un testo bellissimo che in un passaggio, col senno di poi, sembra davvero una premonizione».

Leggi le ragioni per dire sì di Alberto Mantovani, presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca.

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