La tutela dell’ambiente si impara dal passato

Le trasformazioni sociali ed economiche che stiamo vivendo producono molteplici effetti sull’assetto fisico del territorio. Viviamo una fase storica che, specie nelle giovani generazioni, vede una consapevolezza crescente sull’importanza dei temi ambientali nelle nostre vite; tale condizione offre l’occasione per orientare il governo del territorio in una chiave di sostenibilità. Ripercorriamo la scansione geografica del territorio bergamasco di montagna, di collina-pedemonte e di pianura.

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Oggi ci siamo interrogati su come ridisegnare le tre macroaree della provincia di Bergamo: la montagna, l’area urbana che circonda la città e la pianura.

Lo chiediamo anche a te:se potessi diventare paesaggista per un giorno, come trasformeresti il luogo in cui vivi o lavori? E come lo renderesti più sostenibile?

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SALVARE IL LAVORO IN MONTAGNA

Partendo dai territori montani, che negli ultimi anni vedono un doveroso recupero di attenzione nelle politiche territoriali, oggi attraversiamo una fase di progettualità che ha un riferimento importante nella Strategia Nazionale Aree Interne che vede in campo il livello nazionale (Agenzia per la coesione territoriale) e le Regioni, a sostenere politiche e progettualità di sostegno per il rilancio dei territori montani, in una prospettiva di riequilibrio delle dinamiche di spopolamento e indebolimento dei servizi in atto da decenni, sintetizzata come “Agenda del controesodo”.

Sui temi della ri-significazione e della valorizzazione dei territori montani, anche le università stanno ponendo sempre più attenzione; nello specifico l’Università degli studi di Bergamo sta da tempo operando con attività didattiche e di ricerca rivolte in particolare al sistema alpino lombardo.

Montagna fucina di urbanità

Nel caso della realtà bergamasca mi piace partire dalla considerazione che Bergamo è una città che deve molto alle sue montagne. La realtà bergamasca è fortemente legata alla valli, certo per un riconosciuto senso profondo di appartenenza, ma soprattutto perché la montagna bergamasca è una fucina di urbanità.

Noi veniamo da qualche decennio in cui ci siamo abituati a leggere la montagna dalla prospettiva della città, ma se capovolgiamo la mappa e guardiamo il territorio a partire dalla montagna, se proviamo a rileggere la storia dei rapporti tra montagna e città, ma anche tra territori di montagna che avevano e mantengono tra loro una relazionalità forte, forse comprendiamo la montagna in modo più adeguato.

Dico “fucina di urbanità”, perché se ripercorriamo la storia riconosciamo il fatto che l’estrazione e la lavorazione di metalli, come la lavorazione dei tessuti, e le reti commerciali internazionali che si sono costruite su di esse, e hanno generato la ricchezza del costruito e della produzione artistica, emerge che i territori di montagna si siano affermati come realtà economicamente e culturalmente vivaci. Le valli bergamasche hanno un trascorso fortemente “urbano” in diversi momenti storici. Per questo hanno ancora un ruolo culturale forte.

Ricostruire un equilibrio economico sostenibile

Oggi ripensare lo sviluppo della montagna significa capire quali sono gli equilibri economici per cui vivere , abitare e lavorare in qui territori sia sostenibile. Le valli bergamasche sono culla di molte attività produttive. Questo è un tema importante perché mantenere un equilibrio dell’abitare in montagna vuol dire certo corrispondere a una domanda turistica in ascesa, ma anche fondarsi su una forte capacità produttiva che la nostra montagna ha maturato nel tempo e che consente alla popolazione insediata di vivere, abitare e presidiare i territori.
Se viene meno il presidio, viene meno l’azione dell’uomo, viene meno peraltro anche l’articolazione del mosaico ambientale, e con esso la ricchezza in termini di biodiversità. L’avanzata del bosco per l’abbandono di pascoli e prati, fenomeno in atto da tempo in diverse zone delle Orobie, crea ambienti meno ricchi dal punto di vista paesaggistico e ambientale. E quindi, la necessità di presidio si fonda naturalmente su una sostenibilità economica che dialoga con una sostenibilità sociale e ambientale.

Per uscire da ogni fraintendimento: il territorio bergamasco e lombardo di naturale in senso proprio non ha niente; tutto è stato trasformato dell’uomo, che noi si sappia o no riconoscere nella storia l’azione di “territorializzazione” di tutti i luoghi a opera dell’uomo: dare un nome ai luoghi, renderli agibili, collocarli in una struttura funzionale e relazionale.
Mi piace ricorrere ancora alla figura di Carlo Cattaneo che, in “Notizie naturali e civili su la Lombardia” (1844), parlando della pianura lombarda, dice, «Noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta smossa e quasi rifatta dalle nostre mani», a ricordare così la grande opera di ingegneria idraulica che ha plasmato la pianura padana.

Parchi soggetti valorizzatori dell’attività umana

Spesso si discute se sia ancora attuale l’idea di mantenere attività economiche nelle valli, ci sono difficoltà di ogni natura, dall’accessibilità al reperire la forza lavoro in queste realtà. Il fatto che da tempo le dinamiche di insediamento delle attività produttive privilegino la pianura sollecita una riflessione sul ruolo delle aree protette. I parchi sono laboratori per costruire assetti di sviluppo improntati alla durevolezza e alla sostenibilità delle trasformazioni territoriali.

E per quel che riguarda il contesto orobico, i Parchi da un lato hanno una funzione di tutela imp

ortante perché il massiccio orobico detiene una presenza di siti di importanza comunitaria, di zone di protezione speciale, insomma di siti di ”Rete Natura 2000” che rappresentano i principali siti ambientalmente tutelati a livello comunitario. Ma il Parco ha una funzione importante anche nel dare un contributo all’imprimere una direzione sostenibile alle attività economiche.

Penso all’utilizzo delle biomasse, alla produzione artigianale, alle produzioni agricole e zootecniche che nelle nostre montagne hanno una importante tradizione, e una notorietà a livello internazionale per l’arte casearia. La filiera lattiero casearia mi sembra un buon esempio che coniuga sostenibilità economica e sociale e sostenibilità ambientale. Il mantenimento dei prati e pascoli, che sono essenziali per ottenere i foraggi di qualità per gli animali, sono anche il presupposto per mantenere quell’ecomosaico, cioè varietà del paesaggio vegetale che concorre alla biodiversità.

Mi sovviene che il collega Renato Ferlinghetti, portando gli studenti della nostra università in montagna, cerca un affaccio da cui si vedano i prati e i pascoli e poi, approvvigionandosi da qualche produttore locale, distribuisce un pezzo di formaggio ad ognuno dei ragazzi, invitandoli a comprendere che quel prodotto costituisce la base di conservazione e di valorizzazione di quel paesaggio.

Sport e tutela idrogeologica

Il cambiamento climatico sta producendo un innalzamento delle quote di innevamento stabile, e ciò sta determinando da tempo un ripensamento dei demani sciabili. Le attività sportive rappresentano occasione positiva di vivere la montagna, e quindi l’impiantistica - come da tempo va verificandosi - si pone al servizio anche di altri modi di fruire la montagna. Vi è poi la questione dell’equilibrio dell’assetto idrogeologico, sul quale sappiamo da tempo è necessario investire per una buona manutenzione e messa in sicurezza. Il tema si riaffaccia periodicamente e mi pare che -qui come in molte aree montane italiane - ci siano molti margini per rafforzare gli sforzi di investimento su una progettualità forte che, riconoscendo le fragilità dal punto di vista fisico dei territori montani, prevenga le situazioni che conosciamo.
Ma la tutela idrogeologica rappresenta nello stesso tempo un’occasione importante di investimento economico e quindi anche occasione per produrre in montagna, per dare opportunità di lavoro, per sostenere ciò che la gente di montagna ha come know-how: l’abilità di lavorare sui contesti fragili per rimodellare i corsi d’acqua, per mettere in sicurezza i siti esposti, per recuperare un equilibrio ambientale durevole messo in crisi anche dall’abbandono. Ci sono imprese forti in questo settore nelle nostre realtà montane, penso alla Valle di Scalve, ma sono presenti anche nelle altre valli.

L’AREA URBANA

Prossimità e recupero degli spazi pubblici

Vediamo ora l’area urbana del capoluogo.
Bergamo partecipa delle dinamiche internazionali che interessano la regione Padana. La direttrice Milano-Venezia è un corridoio molto trafficato, quindi attrattivo per le dinamiche insediative del mondo produttivo. La realtà di Bergamo ha alcune specificità: una città capoluogo che ha una dimensione demografica e territoriale relativamente piccola rispetto a un’area urbana che struttura con il capoluogo un sistema metropolitano di significativa complessità; il tema, richiamando anche l’intervento di Michele Tiraboschi della scorsa settimana, esprime un’esigenza di coordinamento della programmazione territoriale a più scale, perché articolato internamente da un lato e dall’altro perché inserito nelle dinamiche della regione urbana milanese-lombarda.

Se pensiamo alla lezione che dovremmo apprendere dal dolore che abbiamo vissuto negli scorsi anni è anche quella del mettere a progetto alcune sensibilità che sono emerse o riemerse durante i lockdown, in particolare il riferimento a una parola chiave che è ritornata in auge anche da noi, che è quella della prossimità, del recuperare le relazioni e i servizi di prossimità.

La “città dei 15 minuti” proposta dall’urbanista Carlos Moreno, che ha avuto grande enfasi mediatica con l’azione di promozione fatta dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, rappresenta un modello di riferimento per sottolineare - in contesti urbani con un grado di densità adeguato - l’importanza di organizzare i quartieri in modo che le persone abbiano un accesso ai servizi in tempi rapidi, con la mobilità dolce, quindi muovendosi prevalentemente a piedi o con i mezzi non motorizzati.

Ciò rappresenta anche l’occasione, sulla quale mi pare ci si stia muovendo su diversi fronti, per ripensare il tessuto connettivo delle aree urbane recuperando un migliore equilibrio degli spazi tra strade, parcheggi, spazi pubblici, e tra i mezzi pubblici e privati, motorizzati e non (iniziando dalla pedonalità), che li attraversano.
Nello specifico il rafforzamento del sistema del trasporto pubblico, le tranvie, i bus elettrici, realizzati o in fase di realizzazione nell’area urbana di Bergamo, è l’occasione fondamentale per costruire una mobilità sostenibile e un presupposto chiave per sostenere l’obiettivo di qualità urbana e territoriale inscritto nel concetto di “città dei 15 minuti”.

Auto condivise

Il tasso di motorizzazione (rapporto tra vetture e abitanti) in Italia, e Bergamo non fa eccezione, è molto alto. Il grado di utilizzo delle automobili in proprietà, come ognuno di noi sa, è basso: secondo uno studio di Carlo Ratti del Massachusetts institute of technology utilizziamo l’auto privata il 5% del tempo, ciò significa che le nostre auto riposano in parcheggio o sulla strada per quasi 23 ore al giorno.

Rispetto a una domanda di mobilità crescente, assumiamo una prospettiva che positivamente contempla una diffusione della ciclabilità e di veicoli leggeri elettrici, e un rafforzamento (in atto a Bergamo) della rete del trasporto pubblico. Quale spazio avrà l’automobile? (nell’evoluzione delle diverse forme di alimentazione), e quale suddivisione tra veicoli in proprietà e veicoli condivisi?

Pur nella difficoltà di formulare previsioni, con l’avanzamento tecnologico, e il perfezionamento dei veicoli a guida autonoma, potrebbe ampliarsi lo spazio di convenienza del car sharing, oggi efficiente solo per le aree metropolitane con un elevato grado di densità abitativa (e quindi di domanda), e di pressione sulle aree di sosta.
Con l’affermarsi di una quota importante di car sharing le auto in circolazione potrebbero essere meno numerose, e ciò comporta meno spazio per la sosta, negli edifici e sulle strade, e l’opportunità di ridisegnare lo spazio pubblico, spazio di relazione tra le persone ma anche occasione di recuperare o rafforzare reti verdi e reti blu nelle aree urbane. Proprio sui corsi d’acqua, così importanti nel farsi storico dei nostri territori, potrebbe aprirsi uno spazio (da tempo dibattuto ma assai meno applicato) per farne matrice di rigenerazione ambientale e del paesaggio urbano.

Bergamo città d’acqua

Dire che Bergamo è una città d’acqua sembra un po’ una provocazione, se pensiamo che il corso d’acqua principale è il torrente Morla; ma esiste un reticolo idrografico importantissimo derivato quasi interamente dal fiume Serio, che oggi è difficile da individuare, perché quei canali sono stati largamente coperti il secolo scorso.

Se pensiamo al centro cittadino di Bergamo, tra i propilei di Porta Nuova e la stazione passano diversi corsi d’acqua in senso est-ovest, il Canale Serio, la Roggia Morlana, la Roggia Nuova, la roggia Colleonesca, oltre al corso del torrente Morla.
Oggi si vedono solo nelle fotografie di Story lab, che ci ricordano come la via Camozzi-Frizzoni fosse una grande via d’acqua del canale Serio, come nell’area del Galgario - con l’incrocio tra Morla e canale Serio - abbondassero le acque di superficie, di come la città in fondo sia stata forgiata dall’acqua: la stessa forma della città è in parte consistente dovuta al percorso dei corsi d’acqua, si pensi al canale Serio, che ha dettato la giacitura delle Muraine, che segna un ampio tratto del limite storico della città.

Quindi ri-offrire respiro ai corsi d’acqua significa recuperare la dimensione di un paesaggio urbano che caratterizza la città e che oggi non si vede, concorrere all’equilibrio ambientale per mitigare le isole di calore, e riconquistare dal punto di vista culturale anche il ruolo dei corsi d’acqua nel disegnare la città dal punto di vista fisico e del suo sviluppo civile ed economico.
Per portare un esempio non lontano da noi, basta ricordare il progetto della Darsena milanese. Vi erano diverse opzioni, tra cui quella di coprire quel tratto di Naviglio con una struttura di parcheggio auto, e invece si è deciso di recuperare la Darsena come è stata fino agli anni ’50 del secolo scorso, quando era il porto di Milano.

Uno strumento importante per accompagnare percorsi di recupero e valorizzazione dei corsi d’acqua è il Contratto di Fiume: “Accordo tra soggetti che hanno responsabilità nella gestione e nell’uso delle acque, nella pianificazione del territorio e nella tutela dell’ambiente”.

In questo senso bene evidenziare che nella realtà dell’area urbana di Bergamo è in atto il percorso per il contratto di fiume del torrente Morla e del Morletta, un segno importante nella direzione prima auspicata.

LA PIANURA

L’arrembaggio delle strutture logistiche

I territori della pianura sono in questi anni attraversati da intense trasformazioni. L’intenso sviluppo che ha caratterizzato e un poco congestionato la fascia pedemontana lombarda, si è poi orientato verso i territori di pianura, ‘la Bassa’. Oltre a disponibilità e costi delle aree, gli insediamenti logistici e commerciali vanno a posizionarsi in luoghi con un profilo di accessibilità più alto determinato dalle nuove infrastrutture, pensiamo al raccordo autostradale Brebemi che sta attraendo nuovi insediamenti lungo il suo corridoio territoriale.

Certo c’è un tema rilevante di governo degli effetti degli insediamenti logistici, una dinamica che per certi versi ricorda un po’ quello che negli anni ’90 e nei primi anni 2000 ha riguardato gli insediamenti commerciali. I poli commerciali hanno logiche più ‘locali’, riferite al bacino più o meno ampio dei potenziali clienti; la rete delle strutture logistiche invece contiene logiche diverse: dalla scala locale a quella regionale fino all’appartenenza a catene che agiscono su scala internazionale.

La dinamica impetuosa che sta investendo la regione Padana, e che vede la pianura bergamasca quale campo centrale, necessita di uno sforzo importante di governance ai diversi livelli istituzionali; è un tema che vede fortemente impegnata la Provincia di Bergamo (è in corso uno studio con l’Università di Bergamo mirato a migliorare l’efficacia di governo delle trasformazioni), e che si inserisce nel quadro di riflessione del tavolo interistituzionale per lo sviluppo e la competitività (Ocse), coordinato dalla Camera di commercio di Bergamo.

Il tema va posto leggendo nel complesso le esternalità prodotte, negli effetti negativi e positivi: ricadute dal punto di vista ambientale, come l’occupazione di suolo, l’intensificazione del traffico e dei suoi effetti a partire dalle emissioni inquinanti; va nel contempo considerato che è un’attività economica e che un sistema logistico efficiente rappresenta un sostegno al mondo dell’impresa per la circolazione delle merci nelle diverse fasi della lavorazione e della commercializzazione. Inoltre le strutture logistiche corrispondono a una domanda e a uno stile dei consumi, sempre più legato all’e-commerce, al quale molti di noi si sono progressivamente abituati.

Le dinamiche di trasformazioni sono rapide, e riguardano anche altri insediamenti di rilievo, quali ad esempio i data center e impianti per la produzione energetica; le spinte sono consistenti ma vanno collocate in uno scenario di sviluppo territoriale adeguato nei tempi e negli obiettivi di qualità dell’assetto paesaggistico e ambientale. E in questo scenario, risorsa primaria deve essere riconosciuta nell’agricoltura, che certo presenta per altri versi importanti occasioni di qualificazione del proprio ruolo in chiave ambientale e paesaggistica,

Ci vogliono strutture reversibili

Infine penso che sia anche una questione culturale, nel nostro dare forma allo sviluppo territoriale, perché ad oggi buona parte delle costruzioni che ospitano le attività logistiche non si pongono obiettivi di qualità della costruzione, e di conseguenza di impatto paesaggistico. Magari si lavora con quinte alberate, questo può andare bene per mitigare alcuni impatti, però credo ci sia molto spazio per pensare a costruzioni esteticamente più qualificate (e qualche esempio è riconoscibile).

Ma oltre alla qualità degli interventi e del loro inserimento ambientale, c’è un tema che ritengo centrale e riguarda la r eversibilità potenziale di questi insediamenti: oggi le dinamiche sono quelle che abbiamo sotto gli occhi, non sappiamo se tra trent’anni il funzionamento delle catene della logistica sarà ancora il medesimo, occorreranno ancora strutture siffatte o ne serviranno con caratteristiche diverse. Per alcuni segmenti di logistica è importante considerare che sono in atto sperimentazioni per consegne con i droni, oppure ci sono spazi di lavoro sulle forme di ottimizzazioni dei pick up point.

Ponendo un parallelo con gli insediamenti commerciali, un monito ci viene dagli Stati Uniti, dove il fenomeno di diffusione dei mall commerciali si è notoriamente sviluppato con qualche decennio di anticipo rispetto a noi, e oggi sul terreno troviamo numerosi edifici commerciali dismessi, difficilmente riutilizzabili: illuminante in questo senso la rassegna presente sul sito www.deadmalls.com.

Come prevenire questi oggetti abbandonati sul territorio? Anzitutto credo ci sia uno sforzo importante da fare circa le modalità di realizzazione più o meno invasive rispetto ai suoli. E poi in una logica di reversibilità bisogna pensare alle garanzie assicurative offerte in caso di abbandono, così come la tecnica di costruzione: il facile smontaggio e riposizionamento delle strutture costruite a secco presenta evidentemente maggiori garanzie di reversibilità. Mi sembra un modo di guardare avanti e anche di darci un orizzonte responsabile. Noi ragioniamo sempre sui territori pensando a un qualcosa da aggiungere, alla logica dell’addizione, ma è arrivata anche una stagione in cui dobbiamo pensare ai territori, specie quelli ad elevata densità e dinamiche importanti, ragionando con la logica della sottrazione.

Progetti trasversali che aiutino il coordinamento istituzionale

In pianura non esistono enti di coordinamento intercomunale analoghi alle Comunità Montane, certo esistono e sono fondamentali i Parchi, esistono fertili collaborazioni sull’erogazione di servizi, ma la propensione a darsi una geografia di ampia scala nelle progettualità è meno immediata. Allora occorre pensare a progettualità che mettano in gioco le vaste realtà agricole che poggiano sulle grandi spalle verdi nord-sud che sono costituite dalle strutture ambientali dei fiumi che le reggono. E in questo il disegno delle reti verdi di ricomposizione paesaggistica rappresenta una sfida centrale.

Mi piace ricordare le progettualità promosse da Fondazione Cariplo, che ha permesso progetti di potenziamento delle reti ecologiche e poi di rafforzamento del Capitale Naturale (ad esempio i progetti “Arco Verde” e “Arco Blu”). Così si sostengono iniziative che costruiscono reti verdi di relazione che fisicamente producono degli effetti di infrastrutturazione del sistema ambientale, ma che sviluppano anche una preziosa consuetudine e consapevolezza per una progettualità comune tra soggetti istituzionali e territoriali, una “comunità di pratiche” appunto. Per porre al centro il territorio e il nostro modo di rapportarci con l’ambiente. Per elevare la qualità dell’abitare. Per darci uno sviluppo capace di futuro.

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