I «medici» che aggiustavano i sogni dei bimbi

I piccoli non smettono mai di sperare che i giochi rotti si possano riparare. Nella storia di Bergamo oggi incontriamo i dottori dei giocattoli, gli stilisti per bambole e i collezionisti di fiabe

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Nel campo del cimitero di Bergamo dedicato ai bambini, sulle tombe ci sono tante girandole. Hanno diverse misure e colori e forse, mi convinco, il loro sfidare il vento giorno e notte è metafora del pensiero dei loro genitori che ruota attorno al poco tempo che hanno vissuto. Fisso il mio sguardo e vedo che una delle ali della ruota è rotta. «Sarebbe da buttare e sostituire» mi dico. Ma mi si apre la finestra su alcuni ricordi. Il primo è l’«Ospedale della bambole» di via Zambonate 33 a Bergamo. Qualcuno lo ricorda? Un cartello sbilenco sulla vetrina recitava semplicemente «Si riparano bambole» e leggendo l’annuncio centinaia di bambine hanno potuto cullare la speranza di riabbracciare una bambola rotta dalle brutte maniere di qualche “perfido” fratellino.

Dal primo dopoguerra e fino al 1989 a guarire le bambole c’era uno chirurgo magico, Carlo Alfano, che sapeva curare le loro ammaccature. La sua abile manualità ha ridato vita per decenni a bambole senza testa, a pupazzi senza braccia e a trenini senza ruote. Grazie a lui, e a sua moglie che aggiustava e ricostruiva gli abiti, le storie e le favole non morivano. Cere e colle diventavano dita, occhi e nasi. La stoppa scartata dagli idraulici prendeva vita in nuove acconciature. La leggenda racconta anche che seppe ricomporre, esattamente come erano quelle originali, le mani di Santa Lucia che riposa nella chiesa di Santa Maria dello Spasmo di via XX Settembre.

Di sogno in sogno, camminando in mezzo ai giochi delle tombe dei bambini, ecco che si affaccia alla memoria un secondo ricordo. Si tratta della storia di Angelo Mazzola morto a Bergamo a 87 anni nell’ottobre 1974. Proprietario della «Sartoria Mazzola», ancora in via XX Settembre, Angelo oltre al mestiere di sarto, era anche un apprezzato compositore musicale. In questo contesto tuttavia lo vogliamo ricordare come un vero e proprio «creatore di bambole». Con la sua indole artistica e generosa coltivò di desiderio di realizzare uno dei più bei sogni delle bambine: avere, per la propria bambola preferita un corredo da principessa. Non tutte all’epoca potevano permetterselo e molto spesso le bambole dovevano accontentarsi delle stoffe di scarto provenienti da indumenti che erano talmente lisi che nessuno in casa poteva più usarli. D’altra parte all’inizio del Novecento i vestiti per le bambole non erano prodotti in serie come oggi, ma quando c’erano, erano modelli unici e con tessuti preziosi, negli atelier dei grandi sarti. Tanto per fare un esempio che riguarda anche il nostro Angelo Mazzola, il re Vittorio Emanuele III in visita a Bergamo nel 1913 ricevette in dono due bambole per le principessine. Due “donnine” in miniatura raffinate ed eleganti, vestite con costumi d’epoca. Si trattava di una coppia delle dodici bambole che le sue mani abili avevano confezionato rivestendole con modelli che imitavano alla perfezione abiti di diverse epoche storiche: dai drappeggi morbidi delle toghe degli antichi romani all’abbigliamento sobrio e severo d’inizio secolo. Mai Mazzola avrebbe potuto immaginarlo, ma le sue due creature, andarono ad “abitare” negli appartamenti reali delle figlie del re che certamente ne poterono apprezzare la bellezza.

A proposito di giochi per bambine e bambini non possiamo non ricordare la figura di Marino Anesa che nel suo lavoro di storiografo popolare seppe raccogliere e raccontare nei minimi dettagli il sapore, lo svolgimento e le regole dei giochi come il nascondino nel bosco, la tombola e la lippa. Non solo, tra i miei appunti ho trovato anche la raccolta delle fiabe bergamasche che, insieme a Mario Rondi, ebbe modo di registrare dalla viva voce dei suoi concittadini. Una tra tutte «L’apprendista mago» gli venne raccontata da Caterina Gusmini di Semonte di Vertova che a sua volta la ascoltò da alcuni ambulanti che si erano fermati in paese per la notte e, durante la serata trascorsa nel caldo della stalla. Adesso anche io, come le bambine con le bambole rotte, esprimo un desiderio dopo aver ricordato le straordinarie figure del dottore delle bambole, del loro sarto e del collezionista di racconti di giochi e fiabe della tradizione. Vorrei che questi tre personaggi trascorressero un po’ di tempo con i bambini sepolti al cimitero, raccontando una favola e aggiustando la girandola rotta.

Carlo Alfano: il grazie delle bambine (anche se un po’ cresciute)

Tutti lo conoscevano come il «primario» che si prendeva cura delle bambole e dei giocattoli. Si chiamava Carlo Alfano ed è morto nel febbraio 2004 a 84 anni nella città, Bergamo, che lo aveva accolto.

Alfano era nato a Palermo e prima di arrivare da noi, era stato un po’ di tempo a Milano. Il racconto di come sia diventato il «medico» delle bambole parte da lontano. Lui stesso raccontava che, durante i bombardamenti di Dalmine, nel luglio 1944, si aggirava per la città e, non sapendo dove nascondersi, trovò asilo nel rifugio di via Sant’Alessandro. Il fatto, o la fortuna, vollero che si trovasse in mezzo a numerosi bambini che piangevano. Sentendosi responsabile della loro tristezza, iniziò a raccontare loro una favola per distrarli accompagnando la voce con un disegno fatto con dei gessetti sul muro della stanza scura e umida. I bambini smisero di piangere e rimasero incantati ad ascoltarlo. Non sappiamo quanto andò avanti la storia, ma sappiamo che la notizia della sua performance cominciò a serpeggiare tra i bambini e a Carlo questa fama piacque molto. Dopo una breve parentesi di un lavoro che ottenne quel giorno stesso grazie ad un funzionario del ministero dell’Economia che si trovava nel rifugio, Carlo decise di aprire un laboratorio dedicato proprio alle bambine e ai bambini. O meglio ai loro giocattoli. Al suo funerale, che venne celebrato nella chiesa di Ognissanti del Cimitero di Bergamo, si narra ci fossero, tra i banchi, anche numerose creature alte un braccio e con gli occhietti lucidi.

Angelo Mazzola: sarto, chitarrista e creatore di bambole

Negli ultimi anni della sua vita Angelo Mazzola, che fu sarto, compositore musicale e creatore di bambole e del loro intero guardaroba, ricevette la visita di un musicista giapponese. Mitsutama Okamura, questo era il suo nome, era stato studente del conservatorio di Prato e aveva potuto apprezzare, e poi portare con sè in Giappone, il ricordo delle musiche del compositore bergamasco.

Forse in pochi lo sapevano, ma Mazzola era stato membro dell’Estudiantina bergamasca, un’orchestra fondata nel 1907 e nella quale lui stesso aveva ricoperto il ruolo di prima chitarra. Le sue melodie suonate con la chitarra e il mandolino nella terra del Sol Levante avevano una grande capacità di incantare la gente e a certificarlo c’era questa visita inaspettata.

Sulla scorta della grande ammirazione per colui che considerava suo maestro, Okamura era arrivato a Bergamo senza nemmeno un indirizzo di casa di Mazzola. La fortuna volle che non ci fossero tanti omonimi e quindi, cercando sull’elenco telefonico, il nostro amico giapponese decise di provare a bussare alla «Sartoria Mazzola» di Via XX Settembre per chiedere se ne fossero parenti o se almeno lo conoscessero. Gli venne incontro un uomo segnato dalla paralisi che si commosse fino alle lacrime alla richiesta del giapponese di fare una foto lui. L’idea che in Giappone ascoltassero la sua musica gli scaldò il cuore. Quello stesso cuore da cui presero vita anche le bambole che furono donate il 6 settembre 1913 al Re Vittorio Emanuele III come dono per le sue due figlie. Angelo Mazzola morì a 87 anni nell’ottobre 1974.

Marino Anesa: scrivevi che nel gioco diverte anche perdere

Un contesto di «serena armonia» che Marino Anesa, musicologo e appassionato di storia locale, avrebbe senza dubbio apprezzato. È stata questa l’atmosfera che si respirava ai suoi funerali che vennero celebrati nel maggio 2014 nella parrocchiale di San Bernardino a Semonte. Un prototipo di quei «piccoli mondi antichi» che negli anni e in decine di libri Anesa ha raccontato e promosso, legando i suoi studi e le sue ricerche appassionate soprattutto alla musica e in particolare alle bande popolari. Illuminanti i suoi racconti!

«Àrimo! Quando risuonava questo grido, il gioco si deve fermare». Quante volte l’abbiamo ripetuto! Eppure il significato di questa parola, in molti l’hanno imparata da lui. Deriva da “arimortis”. Tutti fermi, come morti! Che cosa è successo? Qualcuno si è fatto male o è in difficoltà, il capogioco deve dare istruzioni, oppure un giocatore ha violato le regole. Anesa ci ha insegnato che il gioco è una cosa seria. Ha delle leggi precise e bisogna, appunto, stare al gioco. Alla fine ci sono premi, spesso simbolici, e penitenze. A chi perde si offre la scelta della punizione sulle dita di una mano: dire, fare, baciare, lettera o testamento. La lettera si scrive calcando la mano sulla schiena del giocatore che ha perso, con pugni e spinte per segnare la punteggiatura. Col testamento si assegnano invece schiaffi, carezze o tirate d’orecchi. «Padrù de gnignà chi pèrt», solo chi perde è libero di ridere. A divertirsi alle spalle del malcapitato sono invece i compagni di gioco che studiano per lui le penitenze più strambe e imbarazzanti. Tutte cose che ci ha raccontato Anesa. E che ora non ci sono più.

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