Avvocato a Londra: «Così cerco giustizia su casi internazionali»

Laura Zanchi. Con passione e determinazione ha conseguito il titolo sia in Italia che nel Regno Unito Impegnata in una delicata inchiesta parlamentare.

«La passione per quello che faccio oggi è nata come un grande sogno alla fine del liceo. È una passione che poi ha trovato molti ostacoli e dubbi nel corso della pratica ed è risbocciata quattro anni fa, quando ho trovato il mio attuale lavoro». Laura Zanchi, 39 anni, nata e cresciuta a Bergamo, ha sognato fin dall’adolescenza di fare la differenza attraverso la giustizia. Di poter tracciare quelle linee tra giusto e sbagliato. E aiutare le persone a difendere i propri diritti. Farcela non è stato semplice, ha dovuto studiare all’università di Brescia, fare il praticantato a Milano, vivere e lavorare a Roma e poi trasferirsi a Londra nel 2011 per ritornare sui libri e ricominciare da capo.

Ma oggi ha finalmente tutto ciò che ha sempre sognato, forse anche di più. «L’idea di poter fare giustizia - racconta Laura - e fare la differenza nel mio piccolo hanno dato inizio a tutto. Generalmente quando ci si iscrive alla facoltà di legge il percorso classico è abbastanza lineare: università, tesi, praticantato, esame di stato e pratica forense. Non so se sia successo ad altri nel mio settore, ma è stato solo durante il praticantato a Milano e dopo, durante la pratica da avvocato a Roma, che ho iniziato a pormi domande e chiedermi se quel sogno di giustizia e quell’utopia di poter fare la differenza, davvero li stavo realizzando». Laura sentiva che col passare del tempo e una volta ottenuto il titolo legale, il nobile sogno di fare la differenza si stava un po’ perdendo, sepolto da carte e numeri con zeri infiniti.

«Più le cause e i procedimenti diventavano grandi, il valore economico aumentava e la quantità di documenti e informazioni raggiungevano le cifre di milioni di pagine, più il principio di giusto e sbagliato diventa sempre più labile e difficile da comprendere, specialmente in procedimenti di diritto commerciale internazionale. La mia idea di giustizia, di fare qualcosa di buono in concreto, era come fuori fuoco. C’erano solo enormi compagnie che “discutevano” su minuziosi dettagli di contratto per miliardi di euro e ogni cliente sembrava più o meno lo stesso. Non capivo più chi aveva ragione o torto».

Laura nel 2010 ha passato l’esame di stato per diventare avvocato, ma nonostante la felicità per il traguardo raggiunto, sentiva che le mancava qualcosa. «Sentivo il bisogno di nuove sfide. Così sono partita per Londra nell’agosto 2011, lasciando una posizione solida che stavo costruendo con tanta fatica, per tornare sui banchi di scuola. Pochi hanno capito la mia scelta. La mia famiglia inizialmente fu spiazzata dalla mia decisione, era un salto nel buio enorme visto che il mio titolo professionale apparteneva a un sistema legale diverso da quello che c’è in Uk. Ma la mia determinazione, o follia forse, non ha lasciato molto spazio».

Laura è partita da sola per frequentare un anno di master di specializzazione in contenzioso e arbitrati internazionali alla Queen Mary University of London. «Era la mia certezza, un corso universitario di un anno per specializzarmi, perfezionare il mio inglese e capire cosa avrei voluto fare. È stata l’esperienza più bella e difficile che io abbia mai fatto. Più il tempo passava e più non volevo tornare, mi piaceva troppo dove ero, ero innamorata di Londra. Finito il master nel 2012 ho lavorato per qualche mese come assistente universitaria, sempre alla Queen Mary University of London, e poi proprio nel momento in cui stavo per gettare la spugna, perché il mio contratto era finito e non trovavo lavoro, sono stata chiamata per lavorare con un contratto a tempo determinato in uno studio legale internazionale inglese». E da lì la ruota non ha più smesso di girare.

«Io stavo benissimo a Londra, mi divertivo davvero. Quello che frenava però la mia crescita di carriera era la mancanza di titolo: avrei dovuto studiare e prendere la qualifica di solicitor. E così, ancora una volta, ho aperto tutta una nuova serie di libri. Questa volta dovevo ristudiare tutte le materie (da sola e in inglese) per preparare l’esame di stato inglese e se questo non bastava l’ho dovuto fare mentre lavoravo a tempo pieno.

Finalmente dopo moltissimi ostacoli, prove e tentativi ho passato l’esame di avvocato nel 2018». In una sola estate, quella, Laura ha poi cambiato lavoro, si è sposata e si è trasferita fuori Londra. «Quando ho passato l’esame di avvocato a Londra lavoravo in uno studio legale americano. In quel periodo però la mia idea di giustizia, di fare qualcosa di buono in concreto, continuava a essere fuori fuoco. Poi il destino mi ha fatto arrivare una proposta di lavoro nuova, per molti aspetti fuori dalla mia comfort zone: un’inchiesta parlamentare molto grande che stava cominciando a Londra in merito allo scandalo del sangue infetto da trasfusioni ed emoderivati che ha lacerato la Gran Bretagna dagli anni ’70. Tematiche molto delicate, controverse, con grandi domande e un obiettivo fondamentale: aiutare l’inchiesta a dare risposte e portare giustizia. L’inchiesta non è ancora conclusa e da quando ho iniziato questo lavoro quattro anni e mezzo fa nel 2018 non c’è stato un solo giorno in cui io non sia stata contenta di lavorare e appagata da quello che faccio. Finalmente, anche se nel mio piccolo, vedo il risultato del mio lavoro, posso sperare di fare una piccola differenza e questo è impagabile. Inoltre, proprio quando meno me lo aspettavo, ho anche incontrato l’amore e mi sono sposata con Nick. E per non farmi mancare niente poi, durante il lockdown e i due anni di follia del Covid-19 ho anche avuto due bimbi, due maschietti, Sebastiano e Alessandro, che mi tengono sempre sulla corda e che mi hanno cambiato la vita».

Una vita in cui Laura finalmente sente di fare la differenza attraverso la giustizia, di poter tracciare quelle linee tra giusto e sbagliato e aiutare le persone a difendere i propri diritti. «Sono partita dall’Italia con una valigia grande, un computer e uno zaino e dopo 11 anni sono ancora qui, ma con una famiglia e un lavoro che amo.

L’Italia e la mia Bergamo mi mancano: la mia famiglia, i miei amici, le migliaia di piccole e grandi cose che amo del nostro paese al di là di ogni critica e mancanza. Bergamo e l’Italia le porto con me, con le mie abitudini, la cucina, il mio carattere e approccio alla vita: sono e resteranno sempre casa, anche se vivo in un altro paese. Per il futuro niente è stato deciso e quindi vedremo: non è ancora il momento di fare l’ennesimo salto. E poi chissà, magari fra 10 anni avrò aperto un’attività su un’isoletta dispersa in Polinesia come sognavo quando avevo 12 anni».

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