
Bergamo senza confini / Valle Seriana
Domenica 19 Ottobre 2025
Da Clusone a New York: «In Italia si vive meglio, negli Usa... si lavora meglio»
LA STORIA. L’esperienza di Matteo Giavazzi, dal 2016 da Clusone si è trasferito negli Stati Uniti. Lavora da «Instacart», azienda americana leader nella consegna di alimentari. «A San Francisco per amore, poi la casa a New York».
Un cittadino del mondo, fin dai tempi dell’università. Poi il rientro in Italia, ma ben presto è stato tempo di rifare di nuovo le valigie per seguire la compagna. Dal 2016 Matteo Giavazzi, 41enne di Clusone, vive infatti negli Stati Uniti: prima San Francisco, e poi New York, dove risiede attualmente.
Gli studi alla Bocconi
«Durante il corso di laurea triennale in Economia di mercati internazionali e delle nuove tecnologie, in Bocconi a Milano – racconta –, ho iniziato a confrontarmi con l’idea di vivere al di fuori dell’Italia. Non è stata una vera e propria decisione, ma un percorso graduale che mi ha portato a essere maggiormente esposto a un ambiente internazionale (professori e compagni di corso provenienti da tutto il mondo), e all’idea che fare un’esperienza all’estero sarebbe stata una naturale continuazione del mio percorso di studi. Pensavo inoltre a qualcosa di diverso rispetto al progetto Erasmus, e così, presa la laurea triennale, mi sono trasferito a Rotterdam, dove l’università era molto quotata per le discipline di Economia e gestione aziendale. Ad agosto del 2007 ho fatto le valigie e per i successivi 18 mesi ho vissuto tra Rotterdam e Copenaghen. L’esperienza che sicuramente mi ha trasformato in un cittadino del mondo».
Dopo Rotterdam, rientro in Italia
Negli anni successivi ha vissuto poi tra Italia, Spagna, Slovacchia, Germania, sino a rientrare ufficialmente a casa nel 2014, quando anche la compagna torna in Valle Seriana dopo diversi anni in Spagna. «La vita scorreva felice e serena in Italia – confessa –, avevo un lavoro ben pagato, una carriera ben indirizzata, stavo anche pensando di comprare casa, ma non avevo dubbi che prima o poi il lavoro mi avrebbe portato nuovamente all’estero, e di fatto stavo esplorando opportunità per trasferirmi a Dubai. La mia compagna però mi ha battuto sul tempo e ha ricevuto un’offerta di lavoro da San Francisco. Sono così ripartito per amore. Ho dato le dimissioni dalla prestigiosa azienda in cui lavoravo, e ad agosto 2016 l’ho raggiunta. All’inizio ero convinto che avremmo trascorso un paio d’anni negli Stati Uniti, non avevamo fatto troppi programmi e la nostra permanenza era comunque legata al visto lavorativo. Invece eccoci ancora qui».
Sette anni a San Francisco
«Per sette anni abbiamo vissuto a San Francisco - spiega Giavazzi -. Sorprendente. Una città di soli 800 mila residenti, ma con un traffico di 23 milioni di visitatori ogni anno (per fare un paragone Milano accoglie 8-9 milioni di visitatori all’anno). Una città a dimensione d’uomo, ma globale. Efficiente, tecnologica. Circondata dalla natura e da paesaggi mozzafiato con la Pacific Coast o la Napa Valley, un paradiso per gli amanti dello sport e degli outdoor. San Francisco è anche, purtroppo, una città piena di contraddizioni, dove ci sono problemi molto seri come quello dei senzatetto. In seguito alla pandemia, San Francisco ha trascorso anni difficili, le strade piene di viaggiatori si sono svuotate, e il 90% dei lavoratori della Silicon Valley sono passati al lavoro da casa, gli uffici hanno chiuso, e con loro il tessuto commerciale che li sosteneva. È diventata una città meno vibrante e molto meno accogliente. Anche per questo io e la mia compagna abbiamo deciso di esplorare nuove città. Per un anno abbiamo fatto i nomadi digitali tra Los Angeles, New York e la montagna di Lake Tahoe. E da un anno e mezzo ci siamo stabiliti a New York».
La Grande Mela non dorme mai
La Grande Mela, la città che non dorme mai. Intensa, dinamica, multiculturale. «Così diversa da San Francisco, è la città che non dorme mai. Ci sono infinite opportunità, ma anche una pressione costante che si nota nelle abitudini e nei comportamenti di chi ci vive. Io per lo più continuo a lavorare in remoto, quindi a volte mi sento un po’ uno spettatore di questa vita così frenetica, ma non posso negare che in un modo o nell’altro si finisce per essere risucchiati dal vortice. In ogni caso un’esperienza incredibile: si ha veramente la sensazione di vivere al centro del mondo, circondati da persone ambiziose, talentuose in ogni ambito professionale, dall’arte, alla moda, allo spettacolo, dalla ristorazione all’alta finanza. Anche se può essere faticosa, caotica ed estremamente costosa, New York è una città che lascia un’impronta profonda in chi ci vive. Dal 2021 mi occupo di business development e partnerships per Instacart, leader nel mercato della consegna di generi alimentari negli Stati Uniti. Il mio lavoro consiste nell’identificare opportunità di collaborazioni strategiche con altre aziende che possano contribuire alla crescita del business».
«Qui si lavora meglio»
In Italia si vive meglio, negli Stati Uniti si lavora meglio. «Questa è un po’ la mia teoria – spiega il baradello -, dopo aver vissuto le due realtà. Vivere in Italia o negli Stati Uniti significa scegliere tra due modi molto diversi di intendere la vita. In Italia si vive con più lentezza, attenzione alla qualità della vita quotidiana, al cibo, ai rapporti umani e al tempo libero. C’è un forte senso di comunità, ma anche più burocrazia, rigidità e difficoltà a livello lavorativo, soprattutto per i giovani». Negli Stati Uniti, al contrario, tutto è più orientato al risultato, all’efficienza e all’individualismo. Le opportunità professionali sono maggiori e il merito conta di più, ma il sistema è anche più competitivo, meno protettivo, e spesso più impersonale».
«L’Italia resta come l’ho lasciata»
«Negli Stati Uniti ci sono capitato un po’ per caso, le ragioni per cui siamo rimasti così a lungo sono invece molto più ponderate. Qui entrambi abbiamo avuto opportunità di carriera entusiasmanti, e siamo riusciti a conciliarle perfettamente, non è scontato. Inoltre, trascorsi i primi anni, abbiamo iniziato a pianificare degli obiettivi per poter rientrare in patria con maggior sicurezza economica e professionale. Rientrare a casa? Certamente, tra due anni: ma lo dicevo anche nel 2016 (ride, ndr). Dell’Italia sento la mancanza della “dolce vita”. La famiglia e gli amici di sempre. I sapori di casa, la natura e le stagioni. Le cose che sai di trovarle esattamente come le hai lasciate».
Bergamo senza confini
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].
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