Bettoni: «Incidenti sul lavoro, il governo liberi i fondi per la prevenzione e le vittime»

Ogni anno lo Stato accantona grazie all’Inail un miliardo. Il presidente Bettoni: «Sarebbe importante lasciarne almeno una quota all’istituto». Il ruolo della cultura della sicurezza e la necessità di nuove norme.

C’è da invertire un trend: la sfida è quella di ribaltare il principio per cui con la ripresa delle attività produttive, aumentano inesorabilmente anche gli incidenti sul lavoro. I numeri diffusi nei giorni scorsi dall’Inail parlano chiaro: al netto dei casi Covid, le denunce quest’anno in provincia di Bergamo sono in aumento del 27%, addirittura del 175% gli incidenti mortali. «Si deve puntare molto sulla sensibilizzazione e sul rispetto delle norme – dice il presidente dell’Istituto, Franco Bettoni –, ma serve la collaborazione di più persone».

Presidente Bettoni, è davvero inevitabile che ad ogni ripartenza tornino a salire anche gli infortuni?

«I dati ci dicono questo e ci preoccupano. Non deve essere però automatico che ci si continui a fare male e a morire sul lavoro».

Presto arriveranno più ispettori.

«L’attività di controllo va senz’altro potenziata, ma non spetta all’Inail. Il Governo ha approvato la norma per l’inserimento negli organici di nuovi ispettori. Ci voleva».

Aumentare il numero di ispettori, però, non può essere l’unica soluzione.

«È uno strumento importante, ma dobbiamo trovarne altri, partendo anche dal dialogo con i soggetti interessati, dai datori di lavoro agli stessi lavoratori. L’Inail è da sempre al centro di un modello partecipato, perché è solo con un impegno condiviso che si riuscirà a considerare la sicurezza sul lavoro non un concetto astratto ma un valore fondante del welfare del nostro Paese. La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro va considerata parte essenziale dell’organizzazione aziendale e deve “entrare” nella mentalità, nelle pratiche dell’organizzazione e in tutti gli attori che operano nel sistema».

Analizzare i dati dell’Inail potrebbe essere importante per la prevenzione.

«Esatto. I numeri che abbiamo a disposizione ci consentono di vedere dove succedono gli incidenti e di lavorare perché ciò non accada più, partendo anche dalle segnalazioni dei mancati infortuni. Sono strumenti di cui già disponiamo e siamo a disposizione per studiarli».

Lei ha detto che serve una norma ad hoc che consenta di operare nella qualificazione e formazione di aziende e lavoratori; una sorta di strategia nazionale che parta dall’analisi del fenomeno per intervenire sulle cause.

«Le norme le fa il Parlamento. I dati sulle cause degli incidenti ci sono e partendo da loro, si possono studiare attività che, oltre al controllo, insistano anche sulla sensibilizzazione e sulla consulenza alle aziende».

Ma serve per forza una norma?

«Parliamo di iniziative che si potrebbero mettere in campo anche senza norme, ma servono risorse, persone e tecnici. L’Inail, per esempio, fa già molta ricerca anche sugli strumenti da utilizzare sui macchinari perché siano sicuri. Oggi dobbiamo contare sull’informazione qualificata, partendo dal mondo della scuola. Stiamo lavorando con il ministero dell’Istruzione a un protocollo che comprenda, oltre alla sicurezza degli edifici, un rapporto più stretto con i ragazzi. Noi andiamo già a parlare nelle aule, soprattutto portando le esperienze dirette di chi ha subito incidenti: dare una voce, un nome, un volto alle storie che si celano dietro il dato infortunistico, può diventare un’occasione di riflessione importante. È necessario stimolare il cambiamento, intervenire sulle politiche, mettere in campo azioni concrete che possano realmente orientare la rotta dell’agire di tutti».

È soprattutto una questione di cultura.

«Dobbiamo diffondere la cultura della sicurezza in tutta la filiera del lavoro, affinché questa sia vera, reale e non teorica. Ritengo, inoltre, in base alla mia esperienza, che quello della formazione sia un tema da affrontare utilizzando il racconto delle storie, testimoniando in maniera autentica la realtà di quanto accade».

Ogni anno lo Stato accantona fondi per oltre un miliardo di euro provenienti dall’Inail. Cosa impedisce di utilizzare una parte di questi soldi per le vittime del lavoro e le attività di prevenzione degli infortuni?

«È una richiesta che ho già espresso: sarebbe importante lasciare a disposizione dell’Istituto almeno una certa percentuale di questi fondi. È importante, per esempio, abbassare anche la franchigia quando ci si fa male, e garantire una copertura ai quasi 4 milioni di lavoratori che non ce l’hanno (forze dell’ordine, volontari di protezione civile e della Croce Rossa, Partite Iva, medici di famiglia, farmacisti…). E poi servono più soldi per fare prevenzione. Ma qualcosa stiamo già facendo: in 10 anni le aziende hanno pagato 2,9 miliardi di euro in meno in premi perché hanno sistemato gli impianti e investito sulla sicurezza. Ora ne abbiamo approvati altri 273 milioni per chi sostituisce macchinari sia in agricoltura che nelle imprese, con finanziamenti a fondo perduto fino al 65% (e con il bando Isi 2021 in Lombardia saranno stanziati oltre 40 milioni di euro per gli incentivi alle imprese che investono in sicurezza, ndr). Ma con altre disponibilità, potremmo fare ancora di più».

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