«Brutta avventura ma ci torneremo»
Moro: nulla di rotto, anche Tamara meglio

Dopo l’incidente sulle pendici del GI, Simone Moro e Tamara Lunger sono rientrati a Skardu per gli accertamenti medici.

Il giorno dopo è sempre quello più difficile. Scemata l’adrenalina, le botte si fanno sentire. E magari qualche pensiero su ciò che si è rischiato pesa più che a caldo. Finire in un crepaccio in mezzo al nulla e restare appeso al proprio destino e a quello della propria compagna di spedizione non è certo il massimo della vita. Eppure Simone Moro resta Simone Moro.

Niente ripensamenti, insomma: «Fortunatamente - scrive via Whatsapp da Skardu dove ieri è arrivato in elicottero dopo la disavventura sul ghiacciaio del GI - sono rimasto freddo e razionale. Ho reagito come in una situazione ordinaria e ora è già tutto alle spalle».

I precedenti

I Gasherbrum possono stare tranquilli: prima o poi lo scalatore bergamasco da quelle parti ci tornerà. Del resto, Moro certe dinamiche le conosce bene. Nel 1997, durante una delle sue prime spedizioni invernali, finì sotto una valanga sulle pendici dell’Annapurna assieme ai compagni Anatoli Bukreev e e Dimitri Sobolev: fu l’unico a uscirne vivo. Nel 2011, altra valanga, sul Gasherbrum II, assieme al kazako Denis Urubko e all’americano Cory Richards. Il bilancio fortunatamente fu meno drammatico (tutti sani e salvi), ma la giornata sempre da brividi. Ora l’incidente che, assieme all’altoatesina Tamara Lunger, l’ha visto protagonista della drammatica caduta sulle pendici del GI, dove i due stavano tentando l’invernale, con la prospettiva di un’eventuale abbinata al GII.Nel labirinto di ghiaccio che si trova prima di campo 1, la coppia stava superando l’ennesimo crepaccio, quando la superficie ha ceduto: un volo di venti metri a testa in giù per Simone, mentre Tamara, che aveva già superato l’ostacolo ed era legata al bergamasco, si è ritrovata a contrastare la caduta del compagno trascinata sul ciglio della fenditura.

In elicottero a Skardu

La vicenda si è risolta solo due ore dopo, grazie alla caparbietà dei due alpinisti: «Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio - ha raccontato in un post su Facebook l’alpinista - e, pur sentendomi lentamente scendere verso l’abisso, ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all’imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara. Da lì, senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire». Ieri, il trasferimento in elicottero a Skardu, cittadina del Pakistan che rappresenta la porta di ingresso agli ottomila della catena del Karakorum. Qui i due alpinisti - che hanno provveduto a pagarsi interamente i soccorsi - sono stati visitati dai medici del locale ospedale e i primi accertamenti sembrerebbero confermare le impressioni iniziali: tante botte, ma niente di drammatico. «Ce la siamo vista brutta, ma tutto sommato ora stiamo bene - racconta ancora Moro - personalmente non ho nulla di rotto, ma solo contusioni: fortunatamente lo zaino ha protetto la schiena e ho battuto solo gambe e glutei. Anche Tamara sta piano piano recuperando: deve riacquistare ancora la sensibilità a tre dita della mano per via della morsa della corda con cui ha bloccato la mia caduta e, con ogni probabilità, ci vorrà qualche settimana perchè tutto torni alla normalità».

«Materiale fondamentale»

«Abbiamo avuto fortuna - conclude Moro - e al tempo stesso la capacità di gestire una situazione difficile. Particolarmente importante è stato avere con noi tutto il materiale per organizzare l’autosoccorso: per Tamara la sosta sul crepaccio e, per quanto mi riguarda, la risalita dallo stesso cunicolo. Un mix di esperienza, attrezzatura e ripeto fortuna che ci ha consentito di cavarcela». Il rientro? Ancora da decidere. Oltre a qualche giorno di riposo ci sono le solite pratiche da sbrigare. Di sicuro c’è una cosa: nessun addio agli ottomila del Karakorum (e nemmeno a quelli dell’Himalaya), ma solo un arrivederci.

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