«Coraggio, forza di volontà e passione
così ho centrato il bersaglio della vita»

Dopo l’incidente Matteo Bonacina è diventato un campione di tiro con l’arco: le Paralimpiadi di Tokyo lo aspettano.

«Sii come il mare – scriveva Jim Morrison – che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci». Con la stessa energia delle onde Matteo Bonacina ha imparato a modellare la riva sulla quale scorre la sua vita, adattandosi ad essa, cambiando forma come l’acqua: ora ha un biglietto pronto per volare a Tokyo e sorride all’idea di partecipare alla seconda paralimpiade (in programma dal 24 agosto al 5 settembre) con la squadra azzurra di tiro con l’arco.

«La prima è stata a Rio de Janeiro – racconta –. Un’esperienza incredibile. Mi è sempre piaciuto giocare a calcio e da piccolo sognavo di vincere i Mondiali con la mia squadra. Non avrei mai immaginato di ritrovarmi in uno degli stadi più grandi del mondo pieno di gente in piedi ad applaudire. Quel giorno mi scoppiava il cuore».

Eppure tutto poteva finire con un tronco spezzato. Era Venerdì Santo, nel 2009, quando gli è accaduto un gravissimo incidente. Matteo, originario di Valbrembo, aveva 25 anni . Solo grazie al suo coraggio e alla sua forza di volontà quel giorno terribile si è trasformato in un nuovo inizio, quando è riuscito a trovare nello sport la sua personale strada per rinascere.

La concitazione dei soccorsi

«Lavoravo come giardiniere - racconta -. Stavamo scaricando le piante da un camion, ognuna con la sua zolla di terra. Bisognava sollevarle con la gru e poi appoggiarle al suolo. A volte capita che durante questa operazione si spostino, si sbilancino. Quella volta, però il tronco si è proprio spezzato e così una parte mi è caduta addosso, con le radici e la terra. Mi sono ritrovato con un polmone schiacciato, la tibia e alcune vertebre fratturate. Ho perso conoscenza solo per un attimo, al momento dell’impatto, poi mi sono ripreso e ricordo la concitazione dei soccorsi, l’ambulanza, il trasporto all’ospedale. Non mi sembra di aver sentito dolore, ma in quei momenti, come ho imparato poi, il corpo mette in atto efficaci meccanismi di difesa. I medici hanno eseguito subito l’intervento più urgente alla gamba per ridurre la frattura, il giorno dopo, invece, quello delicatissimo alla schiena».

Matteo non si era reso conto con precisione della gravità di ciò che era successo: «Ho chiesto subito al medico quando avrei potuto ricominciare a giocare a calcio. Lui però mi ha risposto di concentrarmi sul presente e di impegnarmi a superare quel momento critico».

Non riusciva più a muovere le gambe: «All’inizio però speravo che fosse una condizione temporanea. Sono rimasto all’ospedale di Bergamo per circa un mese, prima in terapia intensiva, poi in sub-intensiva. Alla fine è arrivato il momento di trasferirmi al Centro per la riabilitazione di Mozzo. Il dottore un giorno con gentilezza mi ha spiegato che non sarei più tornato a camminare. A quel punto, però, lo avevo ormai capito, perché continuavo a sentire le gambe del tutto inerti».

Così è iniziato un lento percorso di recupero: «In attesa che la frattura alla tibia guarisse potevo solo esercitare il busto e le braccia che erano già robusti, dato il lavoro che facevo. Questo mi ha aiutato a rimettermi più in fretta. Il momento della diagnosi è stato doloroso. Ho dovuto abituarmi all’idea che la mia vita - da un giorno all’altro - fosse completamente cambiata, ma fin dall’inizio ho scelto di vedere il bicchiere mezzo pieno: ero ancora vivo e nonostante tutto c’erano ancora tante cose che potevo fare».

Trovare strade personali

Non si è lasciato andare, ha adottato un approccio pragmatico, sforzandosi fin dall’inizio di escogitare metodi creativi per risolvere i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana: «Seguivo gli incontri di terapia occupazionale che servivano proprio per imparare le strategie migliori di adattamento. Dovevamo imparare a vestirci da soli, muoverci in casa, provvedere all’igiene personale e alla preparazione dei pasti. In breve tempo mi sono accorto che riuscivo già a trovare strade personali ed efficaci per riuscirci. Prima dell’incidente vivevo con la mia famiglia, ma quando sono tornato a casa mi sono trasferito in un appartamento da solo, perché volevo trovare una via per essere indipendente. A Valbrembo viviamo tutti vicini, così grazie a una zia che stava già realizzando un progetto di ristrutturazione sono riuscito a costruire un ambiente adatto a me, privo di barriere architettoniche, dove sono andato ad abitare nel giro di un anno e mezzo. Anche dal punto di vista professionale, ovviamente, ho dovuto reinventarmi. All’inizio facevo ancora consulenze nel campo dei giardini, poi ho trovato il tiro con l’arco che è diventato la mia occupazione principale».

Lo sport è una componente fondamentale della riabilitazione: «Seguire una disciplina aiuta a uscire dalla comfort zone e a superare i propri limiti, provando a spingersi costantemente un po’ più in là. A Mozzo i medici mi hanno incoraggiato a provarne diverse, sottolineando i vantaggi per la salute: aumentano la muscolatura e l’equilibrio e permettono di recuperare anche abilità motorie che altrimenti resterebbero “addormentate”. Ci tenevo a recuperare il più possibile perciò ho provato un po’ di tutto, dal basket in sedia a rotelle al tennis, dalla scherma al ciclismo, dallo sci al nuoto e al ping pong. Niente però mi ha affascinato come il tiro con l’arco, che prima non avevo mai provato».

Una volta dimesso Matteo ha cercato una società sportiva che potesse accoglierlo: «Mi sono iscritto alla Phb, Polisportiva disabili bergamaschi, poi mi sono trasferito a Castiglione Olona, in provincia di Varese, per seguire il mio allenatore. Grazie allo sport ho incontrato la mia ragazza, Elisabetta, anche lei atleta di tiro con l’arco oltre che chirurgo ortopedico. Vive a Torino, perciò per starle vicino ho deciso di iscrivermi alla società locale Arcieri delle Alpi, dato che ha sede nel luogo dove ormai trascorro la maggior parte del tempo».

Ha iniziato subito a partecipare alle competizioni, ottenendo riconoscimenti in competizioni nazionali e internazionali, come le due medaglie d’oro conquistate agli Europei di Pilsen, nella Repubblica Ceca, nel 2018: «Il tiro con l’arco mi piace - spiega - perché è inclusivo, non c’è differenza fra le abilità di atleti con e senza carrozzina. Mi è capitato di gareggiare con atleti “normodotati”. In gara non ci si sente così diversi». Quello che conta è tendere l’arco e colpire il bersaglio, esercitandosi nella mira, nella precisione, nella concentrazione.

Alle Paralimpiadi di Rio di Janeiro, nel 2016, ha fatto il pieno di emozioni: «È stato un sogno, anche se sono uscito dalla gara agli ottavi di finale. Una bellissima esperienza, non vedo l’ora di riprovarci a Tokyo».

Dopo l’incidente Matteo ha acquistato uno sguardo diverso sul mondo: «Ho capito quanto è importante alimentare la sensibilità delle persone riguardo alla disabilità e promuovere l’inclusione di chi per qualche motivo viene considerato “diverso”. Anche per questo a volte porto la mia testimonianza ai ragazzi delle scuole. Ho incominciato anche ad accorgermi di situazioni che prima mi sfuggivano, come le auto che parcheggiano abusivamente nei posti riservati ai disabili o davanti agli scivoli dei marciapiedi, a volte senza neanche rendersene conto. Non ho rinunciato a viaggiare all’estero con la mia ragazza, siamo stati in altri Paesi come la Spagna dove abbiamo notato più attenzione all’accessibilità».

Nel tempo ha trovato nuove passioni: «D’inverno, quando le condizioni atmosferiche mi costringono a ridurre l’impegno sportivo, mi diverto a lavorare il legno. Intaglio oggetti e piccole sculture». D’estate, invece, gli allenamenti occupano fino a otto-nove ore al giorno: «Sono appena stato in Repubblica Ceca per partecipare ai campionati europei. Ho visitato molti Paesi grazie allo sport, dalla Francia alla Germania, dall’Olanda a Dubai, dalla Cina al Brasile e alla Thailandia. Certo, non è lo stesso che viaggiare per turismo. Certamente è bello incontrare atleti di tutto il mondo, ogni volta stringiamo nuove amicizie, senza la competitività e le rivalità aspre che ci sono in altre discipline. Quando tendi l’arco sei solo con te stesso».

«Lavoro sulla respirazione»

Il tiro con l’arco è uno sport in cui la capacità di concentrazione ha un ruolo essenziale: «Per ottenere i risultati migliori - chiarisce Matteo - bisogna essere capaci di staccarsi da tutto e mettere a fuoco il bersaglio. È semplice ma anche complesso, a volte ripetendo esattamente gli stessi gesti si ottengono risultati molto diversi. Conta molto l’attenzione, ed è proprio questo che mi attrae. Questo sport spinge a lavorare su se stessi, non solo sul piano fisico ma anche mentale. Negli allenamenti includo anche la meditazione, lavoro sulla respirazione, senza tralasciare nulla, perché per arrivare ad alti livelli non si può lasciare niente al caso».

Se il suo orizzonte è cambiato, Matteo ha comunque imparato a non demoralizzarsi, a non dare niente per scontato, come scrive Chuck Palahniuk: «Puoi scegliere. Ogni respiro, ogni minuto è una scelta. Essere o non essere». Ha scelto di somigliare a un albero che cambia le foglie e conserva le radici: «Tanti amici li ho persi dopo l’incidente. Dato che non potevo più uscire né giocare a calcio, era ovvio che accadesse, ma ne ho incontrati altrettanti, soprattutto nel mondo dello sport. Ho capito che non dovevo demoralizzarmi ma solo adeguarmi, cambiare, trovare un senso e andare avanti. In fondo nella vita può accadere di dover ricominciare da capo per mille ragioni diverse. Mi sono impegnato per valorizzare ciò che mi era rimasto e cercare sempre nuovi obiettivi e stimoli. Se prima sognavo di vincere i mondiali di calcio con la mia squadra ora sogno una medaglia alle Olimpiadi».

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