Don Bepo, al via gli atti preliminari per il processo di beatificazione

Da settembre monsignor Arturo Bellini si trasferirà nella sede di via Gavazzeni del Patronato San Vincenzo per dedicarsi alla causa: «Un grande della carità, perché grande nella fede, e uno straordinario educatore».

Don Bepo Vavassori, fondatore del Patronato San Vincenzo, ha rappresentato per decine di migliaia di ragazzi un padre ospitale capace di accogliere i suoi figli in una casa, con il calore di una famiglia in grado di far crescere, maturare e formare i suoi ragazzi, dando loro l’opportunità di imparare un mestiere per poter vivere in maniera dignitosa del proprio lavoro. Una figura eccezionale di educatore, di padre, di sacerdote per il quale gli ex allievi, e non solo, chiedono la beatificazione. Un percorso che la Chiesa di Bergamo ha deciso di avviare all’inizio del 2020 con gli atti preliminari necessari all’apertura del processo diocesano per la beatificazione e che ora vedrà, da settembre, l’accoglienza nella residenza del Patronato in via Gavazzeni a Bergamo di monsignor Arturo Bellini, il quale dedicherà il suo impegno proprio ai preliminari per l’avvio della causa di beatificazione di don Bepo. Monsignor Bellini è nato il 28 aprile 1946 a Villongo ed è stato ordinato a Roma il 17 maggio 1970. Licenziato in Sacra Teologia e giornalista, è stato insegnante in Seminario dal 1970 al 1975. Vocazionista e direttore dell’«Angelo in famiglia» dal 1983. Membro del Consiglio presbiterale e del Collegio consultori. Redattore de L’Eco di Bergamo e vicedirettore di Bergamo Tv e Radio Alta, direttore dell’Ufficio Pastorale mezzi di comunicazione sociale, direttore di «Vita diocesana» e de «La Nostra Domenica». È stato prevosto di Verdello nel periodo 1996-2013 e vicario interparrocchiale di Nembro e Gavarno. È Cappellano di Sua Santità dal 2007.

Il don Bosco della Bergamasca

La comunità del Patronato, formata da sacerdoti, collaboratori, volontari, docenti, ospiti italiani e stranieri, giovani, ex alunni e benefattori, non smetterà mai di ricordare con riconoscenza don Bepo per il bene profuso negli anni. E la sua eredità testimonia ogni giorno la lungimiranza di un uomo capace di intuire il bisogno del prossimo e salvare migliaia di ragazzi. Don Bepo Vavassori, considerato il don Giovanni Bosco bergamasco, è nato il 19 luglio 1888 a Osio Sotto. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 25 luglio del 1912, viene nominato coadiutore parrocchiale di Branzi e due anni dopo parroco di Trabuchello. Nel 1916 diventa cappellano militare durante la prima guerra mondiale e, una volta congedato nel 1920, torna a Trabuchello. L’anno successivo viene nominato parroco ad Olmo al Brembo e nel 1925 è chiamato in Seminario come padre spirituale. Due anni più tardi, nel 1927, avvia l’opera del Patronato San Vincenzo, per raccogliere, soccorrere e formare umanamente e professionalmente giovani e orfani, allora molto numerosi. Contemporaneamente, dal 1927 fino al 1932, in un periodo politico difficile anche per il quotidiano bergamasco, ricopre la carica di direttore de L’Eco di Bergamo. Nel 1962 il Patronato esporta la sua opera anche in Bolivia. Don Bepo Vavassori muore il 5 febbraio del 1975 a 86 anni e viene sepolto in una cripta accanto alla chiesa del Patronato.

«Mi metterò alla porta del paradiso per ricevervi uno per uno e avere la gioia di vedervi entrare tutti» è la frase di don Bepo, scritta all’entrata della sua tomba nella casa centrale di Bergamo. Tutti gli ex allievi del Patronato la ricordano con affetto, perché l’istituto ha portato avanti negli anni numerose finalità, dal punto di vista educativo con la formazione delle giovani generazioni, una finalità caritativa dando un tetto, un posto a mensa e un lavoro, tanto affetto in modo da sentirsi amati, accolti e compresi, mettendo da parte la solitudine e l’abbandono, con gli ideali della giustizia e dei diritti umani.

Il direttore don Davide Rota

«Ma forse non ci passerebbe neanche per la mente che per un cristiano la finalità ultima, la sola in grado di racchiudere, dare senso e completare tutte le altre è “portare tutti e ognuno in Paradiso” come diceva don Bepo ai suoi ragazzi e com’è scritto nella sua tomba – ha affermato don Davide Rota, superiore del Patronato San Vincenzo –. Da settembre don Arturo Bellini verrà a risiedere al Patronato per dedicare il suo tempo ai preliminari per l’avvio della causa di beatificazione di don Bepo il fondatore del nostro Patronato San Vincenzo. Don Arturo Bellini potrà così riprendere i contatti con il gruppo degli storici don Goffredo Zanchi, Barbara Curtarelli, Barbara Cattaneo e Bernardino Pasinelli, con l’obiettivo di dare regolarità e continuità al lavoro per verificare la documentazione presente in archivio ed esplorare altri luoghi e fonti che conservano carte relative all’opera di don Bepo. Io stesso, appena cessata l’emergenza Covid, mi recherò a Roma insieme a don Arturo, per riprendere i contatti con Padre Carlo Calloni, il postulatore romano, per verificarne la disponibilità ad assumere la postulazione della causa di don Bepo e avere le indicazioni preliminari necessarie all’avvio del processo di beatificazione. Dopo l’incontro con il postulatore, anche il nostro periodico “Il Patronato San Vincenzo per giovani operai” aprirà una rubrica per ricordare gli eventi particolarmente significativi che hanno caratterizzato la vita di don Bepo, insieme a brevi testimonianze sulla sua persona e per segnalare le grazie ricevute. In questo modo terremo informati sull’andamento della causa non solo gli amici del Patronato, ma anche chi segue con l’affetto e il sostegno le nostre opere».

L’incarico a monsignor Bellini

Don Arturo Bellini approfondirà l’esperienza di fede di don Bepo Vavassori. «Sono molto riconoscente al vescovo Francesco Beschi e grato a don Davide Rota e ai preti del Patronato per la disponibilità ad accogliermi nelle stanze poste sopra il luogo della sepoltura privilegiata di don Bepo e sopra l’archivio che ne custodisce la documentazione – afferma don Arturo Bellini –. Si tratta di una vicinanza di luogo che, per me, rappresenta un appello a conoscere e a diffondere la conoscenza di un prete dal cuore straordinariamente largo. In questo 2021, a 75 anni di età, ho sentito l’esigenza di ridimensionare le mie attività per esercitarmi in un reale distacco dalle cose e dedicarmi a mettere a fuoco, alla luce dell’esperienza spirituale di don Bepo, ciò che è destinato a rimanere sempre: la carità. C’è un tempo per cominciare e c’è un tempo per finire, scrive il saggio dell’Antico Testamento. Cominciare e finire è un’esperienza che abbraccia l’arco di tutta la vita, dove ogni tornante è faticoso, perché è doloroso lasciare la gente con cui hai camminato e staccarti dai volti che ti sono familiari – prosegue don Arturo Bellini –. Ogni tornante allarga, però, lo sguardo su una missione che, alla mia età, è chiamata - come suggerisce papa Francesco - a raccordare l’esperienza di carità di chi ci ha preceduto con le giovani generazioni, perché “non c’è avvenire senza questo incontro tra anziani e giovani; non c’è crescita senza radici e non c’è fioritura senza germogli nuovi. Mai profezia senza memoria, mai memoria senza profezia; e sempre incontrarsi”. Sant’Efrem il Siro amava paragonare la vita alle dita di una mano, per dire che la sua lunghezza non va oltre quella di una spanna, e poi per indicare che ogni fase della vita, proprio come ciascun dito della mano, ha una propria peculiarità: “le dita infatti rappresentano i cinque gradini su cui l’uomo avanza”. La citazione di questo maestro spirituale del IV secolo, di lingua siriaca, è stata ripresa e fatta conoscere da S. Giovanni Paolo II per ricordare la bellezza e i compiti di ogni stagione del vivere. Per me che amo l’immagine della “ruota di scorta”, le esperienze che hanno lasciato traccia in fondo all’anima sono tante, come i capitoli di un libro e sono tanti i volti di persone semplici, buone e generose che abitano lo sgomitolarsi dei giorni. Negli ultimi anni poi mi hanno fatto buona compagnia non solo i fedeli incontrati nel ministero e i confratelli della fraternità di Nembro, ma anche uomini di Dio, preti che negli ultimi due secoli hanno vissuto in modo singolare la carità: don Carlo Botta, il Beato Luigi Maria Palazzolo, il servo di Dio don Francesco della Madonna, il beato Sandro Dordi. Esemplare per me è stato anche don Giò Bertocchi che, all’età di 19 anni, ha scritto nel suo diario: “Cristo… è il senso della mia esistenza... Io devo consumarmi per farlo conoscere. Devo essere carità».

Nel solco della carità

«In questa solco di carità – conclude don Aruro Bellini – che, dall’inizio dell’Ottocento arriva a noi, don Bepo è testa di ponte, un grande della carità, perché grande nella fede, e uno straordinario educatore. Non è rimasto chiuso negli schemi educativi della mentalità educativa autoritaria, ma ha avuto occhi capaci di vedere il buono che abita la vita di ogni ragazzo e ha saputo, come don Bosco, far leva sul bene e sul desiderio di bene che lo abita per spingerlo al largo e affrontare l’avventura della vita. Il “don Bosco di Bergamo” – così veniva considerato don Bepo - aveva in San Giuseppe il modello e il patrono che gli insegnava che tra le tempeste della vita, occorre lasciare a Dio e alla sua Provvidenza il timone della nostra barca, perché Dio ha sempre uno sguardo più grande».

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