Cronaca
Mercoledì 29 Ottobre 2025
«Gli abitanti di Gaza siano soggetti attivi della ricostruzione»
L’INTERVENTO. Il Cardinale Pizzaballa in collegamento con il Consiglio regionale. «La tregua rischia di restare a metà strada, la Chiesa c’è stata e ci sarà anche dopo».
milano
«Gaza è quasi completamente distrutta. Gli ospedali sono in gran parte fuori uso. Il 90% delle case è distrutto e ci sono 2 milioni di sfollati – sperduti – che vivono sotto le tende. Più ancora che il cibo, mancano gli antibiotici, i medicinali, i pannolini, il materiale igienico. In più c’è da considerare che è il terzo anno che i ragazzi non vanno più a scuola. Ci sono tantissimi anziani soli, moltissimi mutilati di tutte le età e orfani, che per altro la religione musulmana vieta di adottare. Le infrastrutture sono completamente saltate, non ci sono le fognature. Con le fogne aperte ci sono problemi igienici giganteschi. Nella Striscia si respira l’odore di morte. Sono ancora tante le salme seppellite sotto le macerie». Il racconto, lucido e senza sconti, dell’orrore di Gaza fatto dal Cardinale Pierbattista Pizzaballa è di quelli che toglie il fiato.
Il racconto davanti al consiglio regionale
Per ascoltare le parole del Patriarca di Gerusalemme dei Latini su quel che si sta vivendo nella Striscia, martedì uno schieramento bipartisan, per una volta unito, ha organizzato un Consiglio regionale straordinario ospitato per l’occasione nell’auditorium dedicato a Giorgio Gaber al Pirellone. Collegato in video, il francescano originario di Cologno al Serio, che vive da oltre 36 anni in quella parte di mondo dove ora sembra esserci solo odio e disprezzo, violenza e rancore, ha condotto i presenti in una sorta di viaggio all’inferno sulla terra.
«Abbiamo vissuto due anni terribili. Sì, l’orrore del 7 ottobre ha riaperto una guerra che nelle sue proporzioni di odio e di violenza nessuno si sarebbe mai aspettato. Ne abbiamo viste diverse di guerre, ma questa ha avuto un accento e una tonalità completamente diversi, anche per la sua durata. Nessuno lo avrebbe mai previsto», ammette Pizzaballa. «Ci sono voluti diversi giorni per capire che cosa fosse successo il 7 ottobre. Quando lo si è capito, era chiaro che si erano aperte ferite profonde dentro il popolo ebraico-israeliano, che infatti ha definito questa tragedia una “piccola Shoah”». Ma la reazione violentissima dell’esercito israeliano sulla popolazione civile di Gaza «è stata la riapertura di un’ altra ferita. Un trauma che richiama la Nakba», il trasferimento forzato dei palestinesi.
La disumanizzazione della guerra
La guerra non si fa solo con le armi: «Abbiamo assistito alla disumanizzazione e al rifiuto reciproco dell’altro. Tra i due popoli si è creato un solco profondo e per me che sono un pastore resta un gran dolore», confida il cardinale. «Il 7 ottobre e la guerra a Gaza sono stati indubbiamente uno spartiacque: c’è un prima e un dopo. Il tempo della ricostruzione non è ancora iniziato, ma ci stiamo avvicinando. C’è da fare una ricostruzione morale e umana che è indispensabile, ma ricostruire la fiducia non è affatto semplice in questo contesto di odio radicato e di tanta sfiducia nei confronti delle istituzioni politiche, multilaterali come l’Onu, che è stato impotente, e religiose».
Pizzaballa: «La tregua non è ancora la pace»
Il pensiero di Pizzaballa su una tregua che non è ancora una pace: «Credo ci sia l’intenzione da parte di tutti di fermare la guerra, ma c’è il rischio che si resti a metà strada. Non è chiaro da chi e come saranno prese le decisioni e il sospetto è radicato. Bisogna ricostruire la fiducia scommettendo sulle persone. Temo però che la ricostruzione di Gaza sarà un grande business. La mia grande preoccupazione è che si voglia decidere senza le persone che vivono a Gaza, ma non si può escludere chi vive lì, sarebbe una ulteriore violenza: la ricostruzione deve essere fatta da loro. Andranno aiutati, certo, ma dovranno essere soggetti attivi nella ricostruzione. E ci sono le persone che lo possono fare».
La situazione in Cisgiordania
Il Cardinale ha parlato anche della Cisgiordania: «Qui la situazione è completamente diversa. Oggi è divisa a pezzettini e dopo il 7 ottobre la frammentazione è ancora più marcata, con barriere e oltre un migliaio di check point che rendono problematici tutti gli spostamenti», ha precisato. «Una situazione insostenibile anche a causa dell’espansione delle aggressioni dei coloni, specie nei villaggi palestinesi più isolati. Pensate che devono intervenire le rappresentanze consolari per consentire alla popolazione locale di raccogliere le olive. Peraltro, con la guerra l’economia palestinese è stata azzerata. Si viveva di pellegrinaggi e di pendolarismo. Decine di migliaia di palestinesi lavoravano in Israele. Come faceva mio padre che andava a lavorare tutte le mattine nei cantieri di Milano. Ora li hanno sostituiti cingalesi, indiani e cinesi».
Riaprire una scuola a Gaza
Anche la Chiesa vuole fare la sua parte: «Non risolveremo tutti i problemi, ma vogliamo essere quelli che ci sono stati prima della guerra, durante e dopo – ha detto Pizzaballa –. Con l’aiuto della Conferenza Episcopale Italiana vorremmo riaprire a Gaza una scuola e un ospedale. Intanto, abbiamo aperto un ufficio a Gerusalemme per coordinare tutte le organizzazioni che opereranno nella Striscia durante la ricostruzione».
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