«La dislessia? Prima una zavorra,
poi stimolo agli obiettivi della vita»

La storia di Vittoria Frisia: dalle difficoltà alle elementari fino a ottenere la laurea e a diventare testimonial per aiutare.

«Se senti una voce dentro di te che dice “non puoi dipingere” - scrive Vincent Van Gogh -, allora a tutti i costi dipingi, e quella voce verrà messa a tacere». Vittoria Frisia, 22 anni, per trovare i suoi colori ha dovuto superare le sue paure, insicurezze e fragilità, e «coltivare la determinazione». Da quando ha iniziato la scuola ha dovuto fare i conti con la dislessia, e per tanto tempo l’ha considerata «una zavorra», finché si è accorta che «questa caratteristica mi ha permesso di non adagiarmi mai, mi ha permesso di diventare la Vittoria che sono oggi». Si è laureata in Scienze dell’educazione, servizi sociali e comunità all’Università di Bergamo, sta seguendo il corso magistrale di Scienze Pedagogiche a Milano, presto inizierà a lavorare in una comunità per minori non accompagnati. Nel frattempo è diventata anche volontaria e testimonial dell’Associazione italiana dislessia (Aid), e ha partecipato al progetto nazionale «My Story». Nel frattempo Vittoria ha imparato a risalire la corrente come i salmoni, sfidando il mondo e se stessa, cercando una strada di riscatto, anche quando nessuno sembrava darle fiducia.

«Ho iniziato la prima elementare a 5 anni - spiega -. Ero una bambina sveglia, curiosa e attenta, quindi i miei genitori ritenevano che fossi pronta a iniziare la scuola. All’inizio ero piena di entusiasmo, poi però gradualmente si sono manifestati i primi campanelli d’allarme. Non riuscivo a gestire lo spazio dei fogli, scrivevo fuori dal margine, non tracciavo le lettere in modo rettilineo, non riuscivo a svolgere i calcoli a mente e neppure a mettere i numeri in colonna. La scrittura in corsivo, poi, per me era un’impresa».

All’inizio gli insegnanti pensavano che questi problemi fossero legati alla sua età: «In classe ero la più piccola, perciò pensavano che non fossi ancora “matura”, e che a questo si sommasse forse un po’ di pigrizia. La mia insegnante di religione a un certo punto ha segnalato a mia madre la possibilità che potessi avere uno o più disturbi di apprendimento. I miei genitori si sono informati, abbiamo iniziato un percorso di visite e test, e in terza elementare ho avuto la diagnosi di dislessia e discalculia. Faticavo molto sia dal punto di vista matematico-logico sia lessicale».

Vittoria era ancora piccola e quella situazione le procurava inquietudine e ansia: «Ero partita così carica ed entusiasta, perciò soffrivo molto per questi insuccessi. Anche gli insegnanti mi sembravano spaesati quanto me. Quando è arrivata la diagnosi non l’ho presa bene, anche se col tempo ho capito di essere stata fortunata: ho avuto più possibilità e più tempo per rafforzarmi e trovare le corrette compensazioni. Ci sono ragazzi che trascorrono tanti anni nell’incertezza, sentendosi ingiustamente incapaci, inferiori agli altri. Anche per questo è importante osservare con attenzione i bambini nei primi anni di scuola e cogliere i segni di difficoltà non appena si presentano».

Per due anni Vittoria ha seguito un percorso riabilitativo con un logopedista e psicomotricista, che si preoccupava di aspetti diversi del disturbo di apprendimento, promuovendo e potenziando le sue capacità. «Poi - racconta - ho continuato con l’aiuto di mia madre. Voglio dire che è stata lei il mio migliore strumento compensativo: mi affiancava nei compiti, mi aiutava a realizzare riassunti e schemi che mi servivano per studiare. In alcuni momenti è stato difficile tenere il passo con i miei compagni. La scuola non mi dava nessuna soddisfazione. Mi sentivo sempre l’ultima».

Gli anni della secondaria di primo grado sono stati i più duri: «C’era uno scarso dialogo con gli insegnanti - osserva Vittoria - era come se parlassimo lingue diverse. In preda a questo senso di inadeguatezza, avrei voluto addirittura smettere di andare a scuola. Al momento di scegliere come proseguire gli studi mi sono sentita spaesata. Mi dicevano che non sarei stata in grado di affrontare un liceo. Il mio sogno, però, era proprio di frequentare l’indirizzo di scienze umane per poter aiutare altre persone. Non ho voluto ascoltare chi diceva che per me sarebbe stato troppo difficile, ho preferito seguire le mie passioni. E in effetti credo che questo sia stato molto importante, perché mi ha spinto a rimboccarmi le maniche e a dare il massimo».

Così Vittoria alla fine si è iscritta al liceo delle Scienze Umane: «Non è stato facile, il primo anno ho rischiato la bocciatura, ho avuto alcuni debiti. C’è stato un attimo in cui ho pensato che i miei professori delle medie avessero ragione, ma non mi sono arresa. Mi sono detta, anzi, che non era possibile, che quella era la strada che avevo scelto». Alla fine la sua tenacia l’ha premiata, perché ha completato il percorso senza intoppi: «Dal terzo anno in poi il mio rendimento è notevolmente migliorato. Se prima ero una delle ultime da quel momento in poi sono entrata nel circolo dei più studiosi. Mi ha aiutato molto il mio ragazzo, un mio compagno di classe. Grazie a lui e ai miei compagni ho scoperto quanto possano essere importanti il gruppo, il lavoro di squadra, studiare insieme, cambiare metodo imparando dagli altri. L’importante è non irrigidirsi, ma essere pronti a mettersi in discussione e a correggere il tiro. Mi è capitato molte volte prima di trovare la via giusta per me».

Un altro punto di svolta è stato la scelta di una facoltà universitaria: «Ero convinta che la scelta giusta fosse la facoltà di Psicologia. Poi, nell’estate dopo la maturità, ho avuto un’intuizione. Ho capito che il percorso più adatto a me era Scienze dell’Educazione. Seguire quel corso era un modo per realizzare il desiderio di lavorare a fianco delle persone per sostenerle, alleviarne la solitudine, aiutarle ad avere una vita felice. Mi sono iscritta all’Università di Bergamo e lì sono riuscita a trovare la mia dimensione. All’inizio mi sentivo catapultata in un mondo completamente diverso. L’università secondo me non è né carne né pesce, non solo lavoro, né solo studio. In ogni caso bisogna arrangiarsi, essere autonomi in tutto: gestire lo studio, la preparazione e la prenotazione dell’esame. A volte la mancanza di un gruppo di riferimento si è fatta sentire».

Nonostante questo Vittoria è riuscita a raggiungere nuovi, inaspettati traguardi: «Ho imparato a prendere appunti a computer, a disegnare le mappe in modo più personale, ad abbreviare i tempi di studio semplificando le procedure. Mi sono adattata a una mole di lavoro più consistente. Mi sono trovata bene, sentita seguita nello studio, perché quando ne ho avuto bisogno lo sportello dedicato agli studenti con Dsa è stato in grado di soddisfare le mie richieste. Sono riuscita a laurearmi in tempo, anche questa è stata una grande soddisfazione. In mezzo, per di più, c’è stato il periodo della pandemia, in cui sono rimasta a casa da sola con i miei genitori e le mie sorelle. Ho discusso la tesi di laurea online e quella giornata non è stato il bel momento che speravo. Alla fine però mi sono resa conto che non era così importante: contava di più il percorso, l’impegno profuso per arrivare all’obiettivo. Nessuno potrà togliermelo e me lo ricorderò per sempre».

Vittoria ha colto al volo l’occasione di aiutare l’Aid (info su bergamo.aiditalia.org). «Ho partecipato alle sue attività con mia madre, ed è stato frequentando l’Associazione che casualmente ho letto e approfondito un annuncio che avevamo trovato sui social: cercavano giovani pronti a partecipare al progetto “My Story” portando la propria testimonianza ad altri ragazzi, genitori, insegnanti, per aiutarli ad affrontare le loro difficoltà e ad avere fiducia nel futuro. Ho risposto alla convocazione parlando brevemente di me. Non pensavo che il mio messaggio avrebbe avuto seguito, in realtà poco dopo mi hanno contattato. Conoscevo l’Associazione Italiana Dislessia, mia madre è sempre stata socia, seguivamo insieme le loro attività, e in questo modo sono entrata nel gruppo nazionale. Avevo appena concluso le scuole superiori e mi faceva piacere poter dare una mano a qualcun altro che si trovava nelle mie stesse condizioni, per far capire che la dislessia non impedisce di realizzarsi nella vita. È una caratteristica, qualcosa con cui nasci ma non ti priva della possibilità di raggiungere gli obiettivi come gli altri, anche se in modo diverso». Entrare nel progetto «My Story» è stato l’inizio di una nuova avventura. «Sono rimasta sorpresa e felice quando mi hanno selezionata. Ho incontrato un gruppo di giovani di tutte le regioni d’Italia in cui mi sono sentita subito a casa. Siamo uniti dalle nostre caratteristiche, ci capiamo al volo. Mi è sembrato importante riuscire ad aiutare altri ragazzi - ma anche gli insegnanti - a capire quali sono le nostre difficoltà, come le abbiamo vissute. Non facciamo emergere, ovviamente, solo le esperienze negative ma anche il rovescio della medaglia: un buon docente, qualcuno che crede in te e ti valorizza spesso è lo stimolo migliore. È sempre un’emozione quando alla fine dei nostri incontri qualcuno si avvicina, si confida, pone delle domande e poi ci ringrazia, perché gli abbiamo fatto intravedere uno spiraglio di luce in un momento buio». Vittoria nel suo cammino ha potuto contare sul sostegno di un affiatato gruppo di amici e della sua famiglia: «Mi hanno sempre trattato in modo paritario, facendomi capire che potevamo aiutarci a vicenda, che non ero sempre io quella bisognosa». Ora può sentirsi fiera di se stessa: «A volte mi ritrovo perfino a ringraziare per essere nata con la dislessia, perché mi ha aiutato a capire, per esempio, che non avrei mai potuto ottenere un risultato senza un grande lavoro. Ho sviluppato una capacità di resistenza a momenti difficili, ho imparato che se cado posso sempre rialzarmi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA