«Lavoro e passione, 37 anni nell’Arma»
Pasquale Macella va in pensione

Il 6 gennaio va in pensione il luogotenente Pasquale Macella: dal ’98 comanda la stazione di Bergamo. «Mi sono arruolato per seguire le orme di uno zio. Poi la gavetta a Clusone e il radiomobile. Il Covid? Devastante.

Nel suo ufficio a pianterreno della caserma dei carabinieri di via delle Valli fanno bella mostra, una accanto alle altre, le foto con colleghi e familiari. Del resto, nulla meglio di queste immagini potrebbero rappresentare i 37 anni nell’Arma del luogotenente Pasquale Macella, da 24 anni comandante della stazione di Bergamo Principale (una delle tre cittadine, con Bergamo Bassa di via Novelli e Città Alta di piazza Cittadella). Una vita intera dedicata a un lavoro che è stato inevitabilmente anche una grande passione, portata avanti quotidianamente con il supporto costante della sua famiglia, soprattutto durante il Covid: la moglie Cinzia, infermiera al Pronto soccorso dell’ospedale di Seriate, e le due figlie, Gloria, 24 anni, pure infermiera, in servizio all’Ematologia del Papa Giovanni XXIII, e Greta, 29 anni, neo avvocato. Il 6 gennaio il sottufficiale compirà 60 anni e si dovrà dunque congedare dall’Arma.

Luogotenente, a breve dovrà per forza di cose lasciare questo ufficio. Ritengo superfluo chiederle: le dispiace?

«Eh sì, il 6 gennaio sarà il mio ultimo giorno di lavoro dopo 37 anni di servizio nell’Arma qui a Bergamo, di cui i primi cinque al comando compagnia di Clusone, dove sono arrivato quando avevo 23 anni. Nel 1990 mi sono sposato e sono stato trasferito qui al comando provinciale di Bergamo. Nel 1998 ho assunto il comando della stazione di Bergamo Principale: incarico che ho portato avanti per quasi 24 anni».

Come mai la scelta di entrare nell’Arma e perché da neo carabiniere venne mandato a Bergamo?

«Sono originario di Altamura, in provincia di Bari, e ho scelto di entrare nell’Arma per passione: uno zio di mia madre era brigadiere. A casa siamo tre fratelli carabinieri, uno a Matera e l’altro a Brescia, e un quarto congedato dagli alpini qualche anno fa. Dopo un anno di leva nel 1981 come carabiniere ausiliario a Bari, ho partecipato a vari concorsi per sottufficiali: dal 1983 all’85 ho frequentato il biennio della scuole per sottufficiali di Velletri e Firenze. Il 3 giugno del 1985 sono stato trasferito dalla scuola al comando legione di Brescia, dove mi hanno affidato il primo incarico alla stazione di Clusone con il grado di vice brigadiere».

Di fatto, è stata una gavetta.

«Esattamente. E dopo un mese ho assunto il comando in sede vacante della stazione. Passati altri 6 mesi, ho operato nel nucleo radiomobile sempre di Clusone, anche comandandolo in sede vacante, nell’aliquota operativa e alla centrale operativa. Nel 1990, dopo il matrimonio, sono stato trasferito a Bergamo. Trascorsi i primi due anni di radiomobile, con la riforma dell’Arma del 1995 sono passato direttamente al grado di maresciallo capo e nel 1998 ho assunto il comando di questa stazione. Nel 2014 è arrivata la promozione a luogotenente e da due anni quella a luogotenente con carica speciale».

Com’è cambiata la stazione di Bergamo Principale in questi 24 anni?

«È cambiata tanto. All’inizio facevamo molti servizi di traduzione in carcere dei detenuti. Poi dal giugno del 1999 sono stati ceduti alla casa circondariale e quindi ci siamo concentrati sui servizi istituzionali: il controllo del territorio, la vicinanza alla gente, la prevenzione, la vigilanza al tribunale, l’ordine pubblico allo stadio e durante i cortei. La stazione ha competenza su una vasta area del Comune di Bergamo: le ex circoscrizioni 4, 5 e parte della 6, oltre al Comune di Torre Boldone».

In tutti questi anni avrà affrontato centinaia di indagini: quali quelle che l’hanno colpita e impegnata di più?

«Sono state diverse. Nel 1999 abbiamo arrestato alcune persone in flagranza di reato per truffa. Nel 2001 abbiamo eseguito vari arresti sempre per truffe. E poi a fine 2015 abbiamo concluso la famosa “Operazione Babbo Natale”, con l’arresto di diverse persone accusate di una dozzina di furti, riuscendo a restituire quasi tutta la refurtiva ai derubati».

E i bergamaschi come sono cambiati?

«I bergamaschi sono sempre stati grandi lavoratori: non sono cambiati molto. Sempre cordiali, vicini alle istituzioni, ho sempre avuto un ottimo rapporto con la gente, perché il nostro è un lavoro di passione e dedizione, di vicinanza alle persone, al tessuto sociale. Per comprendere i problemi sono andato spesso direttamente a casa della gente, in modo da toccare con mano quello che non andava e cercare di intervenire in maniera più mirata».

I reati più diffusi quali sono?

«Le truffe agli anziani sono un po’ diminuite. I furti, invece, sono persistenti».

Immagino che il periodo peggiore sia stato quello del Covid-19.

Qui gli occhi del militare si fanno lucidi e la voce si spezza più volte durante la risposta.

«Sì, è stato un periodo devastante, nel quale ho dato davvero tutto me stesso. Col Covid è cambiata tutta la nostra organizzazione istituzionale e abbiamo stravolto i nostri compiti: siamo andati a consegnare casa per casa le bombole d’ossigeno e i pacchi dono offerti dai supermercati, scegliendo di destinarli in tutta la città ai più bisognosi. La sera del 18 marzo 2020 non la dimenticherò mai: assieme ad altri colleghi e militari abbiamo caricato su dieci camion militari le bare di tanti nostri concittadini uccisi dal Covid. Un servizio a cui ho voluto dedicarmi in maniera volontaria».

E pensare che adesso c’è chi, senza un minimo di rispetto per quelle persone, si inventa che quei carri militari erano una messinscena.

«Macché: ho toccato con le mie mani quei feretri. Non erano certo finti».

Sono stati momenti di grande tensione e drammaticità.

«Enorme: non c’era orario in quei giorni. E abbiamo anche perso un collega della centrale operativa, l’appuntato Claudio Polzoni, che ha lasciato una moglie e una bambina».

Cosa farà dal 7 gennaio?

«Inizialmente mi riposerò un pochino. Poi sicuramente continuerò come volontario nell’associazione carabinieri. Insomma, l’Arma continuerà a far parte della mia vita».

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