Mese nero per il commercio orobico
Con il Covid persi 326 milioni di euro

Novembre terribile per negozi, bar e ristoranti di città e provincia: drastico calo del fatturato. Abbigliamento e ristorazione i settori più penalizzati. Ascom: ma i commercianti bergamaschi non mollano.

Partiamo dalla fine. Dalla tendenza tutta orobica a non mollare, a resistere anche nelle condizioni più difficili. «I bergamaschi sono gente tosta, capaci di darsi una mano l’un l’altro. Il commercio sta vivendo un momento durissimo, mesi di restrizioni l’hanno fortemente provato, eppure i nostri associati non si arrendono. Non abbiamo notizia di qualcuno che abbia deciso di gettare la spugna, di chiudere l’attività nonostante i numeri non siano dalla loro parte», dice il direttore di Ascom Bergamo, Oscar Fusini, commentando le stime delle perdite di novembre.

Un bilancio pesante
Cifre da paura: 326 milioni e 400 mila euro di mancato fatturato per le attività commerciali di città e provincia costrette a rimanere chiuse. Ottomila e settecento imprese ferme per tre settimane e mezzo, che sono diventate quattro per bar, ristoranti e discoteche. Quasi ventiduemila addetti rimasti inattivi, dietro i quali ci sono altrettante famiglie.

In novembre più di duemila negozi di abbigliamento e calzature hanno perso 96,5 milioni di fatturato, 72 milioni sfumati per oltre 400 negozi che vendono mobili, 10,6 milioni non incassati dalle gioiellerie, 26,5 milioni mancati per quasi duemila ambulanti che commerciano prodotti non alimentari. Perdite più limitate per gli altri settori merceologici interessati dal lockdown come i negozi di casalinghi (8,4 milioni di fatturato persi), di bigiotteria (642 mila euro) e gli antiquari (644 mila euro). Oltre al danno la beffa, quel Black Friday con i negozi chiusi che ha determinato un’ ulteriore impennata delle vendite on line.

Ristorazione in crisi
Il settore che più ha risentito delle chiusure forzate è stato quello di bar e ristoranti che, insieme alle sale da ballo, si stima abbiano perso in novembre quasi 111 milioni di euro, e che in dicembre, se le previsioni saranno confermate, dovranno dire addio ad oltre 160 milioni di fatturato. A conti fatti negli ultimi due mesi dell’anno il settore della ristorazione bergamasca dovrà rinunciare, secondo le previsioni di Ascom, a 271 milioni di euro. Questo ipotizzando la riapertura dei locali tra l’11 e il 13 dicembre sino a fine mese con orario ridotto (alle 18 giù le saracinesche), il che significa rinunciare alle cene nel periodo più redditizio per il settore, quello pre natalizio e delle feste di fine anno.

«Aprire i locali solo a pranzo dalla metà del mese di dicembre e soltanto per i residenti nel comune significa perdere 74 milioni di fatturato – sottolinea Fusini –, vale a dire rinunciare a due terzi dei guadagni in condizioni normali». Non c’è asporto o delivery che possa compensare le perdite. «Sono modalità di vendita che riguardano solo alcuni segmenti di utenza. I giovani, ad esempio, che consumano sushi e pizza, ma la ristorazione di livello medio-alto non può contare sulle consegne a domicilio per ripianare le perdite». E con il passaggio dall’area arancione alla gialla il cambiamento non sarà sostanziale. «Tutto il serale andrà comunque perso» commenta Fusini, che evidenzia come gli unici ad essersi salvati da questo «annus horribilis» siano stati i negozi di generi alimentari. «Per loro è stato un anno positivo, con bar e ristoranti chiusi la gente ha aumentato gli acquisti di cibo e bevande nei negozi. E va detto che anche nei momenti più difficili molti hanno saputo organizzarsi in tempi brevi con le consegne a domicilio, rafforzando il rapporto con la clientela».

Timori per il futuro
Che Natale sarà? «Per il commercio sicuramente triste» commenta il direttore di Ascom Bergamo. «Dovremo rinunciare ai mercatini natalizie e alla bancarelle di Santa Lucia, le attività in montagna risentiranno pesantemente delle chiusure degli impianti sciistici. Lo stato d’animo è pesante per tutti gli addetti del settore». Anche pensando a un 2021 sul quale sembrano addensarsi parecchie nubi. «I negozianti tengono duro, anche perchè il prossimo anno le occasioni professionali saranno molto limitate. Meglio tirare la cinghia sperando di poter recuperare in un futuro non troppo lontano, piuttosto che chiudere e non avere altre prospettive occupazionali».

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