Politica in stallo
appesa all’ex Ilva

Ci ha pensato Luigi Di Maio ad animare il weekend politico, anche se non se ne sentiva certo il bisogno dopo la settimana incandescente passata a capire se l’ex Ilva di Taranto chiuderà o se è recuperabile (e come, e a quale prezzo) un rapporto con Arcelor Mittal o – ancora – se non si possa contemplare qualche altra soluzione, compresa la nazionalizzazione con la solita Cassa Depositi e Prestiti. In questo garbuglio in cui si stanno avvitando la vita di decine di migliaia di famiglie e un pezzo della tenuta del nostro sistema industriale, Di Maio ha messo sul tavolo ancora una volta la sopravvivenza del governo. Ha detto: se il Pd presenta un emendamento che ripristini lo scudo legale per gli amministratori dello stabilimento, il governo non va avanti.

Insomma, una vera minaccia di crisi che forse serve soprattutto ad anticipare i democratici i quali ormai da tempo stanno chiedendosi se valga la pena continuare a dare sangue ad una alleanza con i grillini che a loro toglie soltanto voti mentre riempie i granai elettorali già colmi di Salvini e Meloni.

Ma Di Maio sa di avere un problema aggiuntivo: se il Pd presenterà il suo emendamento – che è stato già scritto ed è in tasca al capogruppo alla Camera Graziano Delrio – parecchi grillini voterebbero a favore insieme a Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Vorrebbe dire in primo luogo che il governo non ha la maggioranza e deve chiedere il supporto all’opposizione, e in secondo luogo che la leadership di Di Maio è arrivata davvero al capolinea. È per questo che il capo pentastellato alza la voce, minaccia e lancia avvertimenti. Che però sono abbastanza simili a delle pallottole senza polvere da sparo. Se il M5S andasse al voto in questo momento, dicono tutti i sondaggi, perderebbe la metà dei voti, si collocherebbe al terzo posto intorno al 16-17 per cento (da primo nel 2018 a terzo in meno di due anni), vedrebbe i suoi candidati falcidiati e la gran parte degli attuali gruppi parlamentari non rieletta. A che pro? Se Maio facesse ora cadere il governo molti deputati e senatori, per la maggioranza certi di aver ballato una sola stagione al Grand Hotel Montecitorio, si ribellerebbero e cercherebbero riparo altrove, a cominciare dalla Lega e forse anche Italia Viva di Renzi (in procinto di provare un esperimento di fusione con i dissidenti berlusconiani).

Però, anche se è una minaccia a vuoto, di fatto Zingaretti non può presentare l’emendamento senza sapere che la fragilissima costruzione della maggioranza subirebbe un ulteriore colpo e si fermerebbe quel poco nel governo che ancora riesce a fare qualcosa. In sostanza si sta dunque avvicinando una situazione di stallo, con la famiglia Mittal pronta ad andarsene dall’Italia e più di diecimila famiglie in mezzo ad una strada. In questo caso, come accadde nel caso della Tav, potrebbe essere il presidente del Consiglio a prendere autonomamente una iniziativa: o il sì allo scudo fiscale per riaprire la trattativa con i franco-indiani o l’apertura a nuovi compratori. Quegli stessi cui si riferisce l’emendamento scritto dal Pd che mira a dare una tutela a tutti gli imprenditori che si assumono l’onere della ambientalizzazione di realtà inquinate o inquinanti per responsabilità dei predecessori. Conte ha già dimostrato con parole e gesti – compreso quello di andare a Taranto: l’unico a farlo – di voler giocare da protagonista questa partita. Non ci stupirebbe se volesse continuare, e pazienza per Di Maio e la sue ambizioni.

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