«Prima il tumore, poi il linfedema: in questo cammino sono migliorata»

Milena Pasinetti, una giovane mamma, una lunga lotta con la malattia e un futuro che adesso può sorridere.

«Mi alzo e spacco il mondo tutte le mattine». Milena ride e nei suoi occhi vibra una corrente di energia. Non ci sono ombre sul suo viso, ogni suo gesto trasmette gioia di vivere. Negli ultimi sei anni ha affrontato un melanoma, tre interventi chirurgici e diversi cicli di terapie aggressive, sperimentando il buio di una profonda depressione, indotta dai farmaci. Dopo l’asportazione dei tessuti intaccati dal tumore ha dovuto fare i conti anche con un grave linfedema, per il quale sembrava impossibile trovare una cura e che, a poco più di trent’anni, la faceva sentire molto a disagio. Quando l’orizzonte era cupo, le circostanze avverse, la strada smarrita, Milena avrebbe potuto disperarsi, invece ha stretto i denti e ha scelto di resistere. Il tempo le ha dato ragione, la sua vita è cambiata, e oggi può raccontarlo senza rimpianti. Anzi, nelle sue parole c’è un pizzico di soddisfazione: «È vero - spiega -, ho sofferto, attraversando molto dolore, ma lungo il cammino ho trovato la versione migliore di me stessa».

Secondo Eleanor Roosevelt «il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni» ed è questa la chiave attraverso la quale Milena rilegge il suo percorso di malattia: «Non mi sono mai arresa - racconta -, ho lottato duramente e ora ho conquistato un nuovo equilibrio. So quanto sia stato difficile, per questo cerco di mettere la mia esperienza a servizio di altri, come sostegno a chi affronta la malattia e come spunto di riflessione per chi non ne è stato colpito».

Da qualche anno, infatti, collabora con Marina Rota e l’associazione «Insieme con il sole dentro. Melamici contro il melanoma» (insiemeconilsoledentro.it) che si occupa di sensibilizzazione e prevenzione, sostenendo la ricerca: «Non parlo volentieri della malattia - osserva -. Lo faccio solo con un intento costruttivo, per stimolare altri a sottoporsi regolarmente a controlli e, nel caso il tumore si manifestasse, a reagire con coraggio, perché la diagnosi non è una condanna».

All’inizio Milena non aveva un’idea chiara di che cosa fosse il melanoma: «Mi sottoponevo ogni anno a un controllo dermatologico, - racconta - perché una mia amica aveva la buona abitudine di prenotare la visita anche per me in occasione delle iniziative di prevenzione della Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori)». D’estate le piaceva esporsi al sole: «Sono bionda, ho la pelle chiara - dice - e un po’ di abbronzatura mi metteva di buon umore, tanto che era diventata quasi una dipendenza. Era una coccola, un momento di quiete per ricaricarsi. Non pensavo che un passatempo così innocente potesse farmi del male. Nella bella stagione cercavo di ritagliarmi il tempo necessario anche nei giorni feriali, magari usando la pausa pranzo. Ho pensato di aver causato la malattia con il mio comportamento, ma gli specialisti mi hanno rassicurato: il sole provoca danni ma ci sono anche altri fattori in gioco, inclusa la predisposizione fisica».

Durante la visita di controllo la dermatologa l’aveva invitata a sorvegliare un neo in particolare: «Mi ha sollecitato a monitorare e controllare qualsiasi cambiamento. Mi ricordo di aver provato stupore, perché mi sembrava una piccola macchia insignificante, priva di segni allarmanti per un occhio non esperto». Era ottobre, e l’estate successiva Milena ha notato due sintomi sospetti: «Il neo aveva effettivamente cambiato forma, e per di più sentivo uno strano dolore alla gamba. In quel periodo però lavoravo moltissimo, anche per dieci-dodici ore al giorno, trascorrendo molto tempo in piedi, perciò avevo attribuito questo malessere allo stress. Ho comunque fissato una visita dermatologica all’ospedale Papa Giovanni XXIII e l’ho ottenuta nel giro di qualche settimana. Lo specialista che mi ha visitato mi ha fissato subito l’appuntamento per l’asportazione del neo. Ho aspettato l’esito dell’esame istologico con serenità, pensando che il tempo trascorso dall’ultimo controllo fosse troppo breve, perché venisse riscontrato qualcosa di grave. In modo del tutto inaspettato, invece, il medico mi ha invitato a sedermi, cercando di darmi la brutta notizia con delicatezza». Da quel momento la situazione ha preso una piega imprevista: «Mi hanno fissato l’intervento di asportazione del melanoma dopo venti giorni. Non ricordo più nulla del momento della diagnosi. Ero così sconvolta che sono scivolata in una condizione di torpore e di inconsapevolezza». Dopo il primo intervento, avvenuto in piena estate, Milena è andata in vacanza: «Al ritorno, però, mi aspettava un’altra brutta sorpresa. Q uando sono tornata in ospedale ho trovato ad aspettarmi, in un ambulatorio semibuio, il chirurgo, il dermatologo e l’oncologo. Mi hanno spiegato che la situazione era complessa, i linfonodi all’inguine erano stati intaccati, segno che il tumore era già a uno stadio avanzato. Così hanno dovuto sottopormi a un’altra operazione, più radicale, per asportarne il più possibile. I miei figli avevano 4 e 11 anni, ho pensato subito che dovevo combattere per vederli crescere. Non mi sono lamentata e non ne ho parlato con nessuno».

Quando il chirurgo prima di condurla in sala operatoria le ha mostrato con un semplice schema grafico che cosa si apprestava a fare, Milena si è spaventata: «Mi hanno aperto dal ginocchio all’ombelico, poi sono rimasta a letto una settimana, perché ero pesantemente debilitata e non riuscivo più ad alzarmi, avevo una gamba immobilizzata. Ho iniziato l’immunoterapia che era una vera e propria bomba e provocava tanti effetti collaterali. Ricordo che in quel periodo avevo voluto tornare a lavorare, senza tenere conto delle possibili conseguenze dell’intervento: le avevo sottovalutate, nonostante l’invito a sottopormi a riabilitazione e a svolgere regolarmente attività sportiva. Poco dopo ho notato il gonfiore alla gamba, che in breve è cresciuto a dismisura».

Accanto alle ferite del corpo ha dovuto fare i conti anche con quelle dell’anima: la depressione, causata dai farmaci, l’ha trascinata in un abisso. «Un giorno - ricorda - ero così sconvolta e confusa che ho provato l’impulso di gettarmi dal balcone. Mio marito mi ha fermata e quell’episodio mi ha portato alla consapevolezza di dover chiedere aiuto». Questo, insieme alla sospensione dei farmaci che avevano causato quella complicazione, ha prodotto una svolta decisiva: «Lavorando su me stessa ho ricominciato finalmente a vedere la bellezza della vita. Mi ero lasciata divorare dalla frenesia del fare, mettendo da parte me stessa, i miei desideri, la qualità della vita. In quel momento, invece, costretta a fermarmi, ho riscoperto aspetti che prima mi erano sfuggiti, ho acquistato nuove consapevolezze. Probabilmente non ci sarei riuscita se non mi fossi ammalata. Mi sono resa conto quindi che in ogni situazione era possibile trovare un lato positivo».

Milena vive a Vigano San Martino e con la sua famiglia fa parte di una società di trasporti: «Oltre a questo, però ho sempre cercato di svolgere una professione che fosse solo mia e potesse qualificare e valorizzare le mie capacità». Con la malattia è arrivata la consapevolezza di dover cambiare: «Mi si è presentata l’opportunità di diventare consulente assicurativo, ho studiato per realizzarla e mi piace poter contribuire a tutelare le persone e proteggerle dagli imprevisti della vita, come quello che è capitato a me». Quando il tumore sembrava sotto controllo, Milena si è trovata ad affrontare un nuovo scoglio, il linfedema: «Non è una patologia riconosciuta in Italia, eppure ne soffrono tante persone, molte delle quali, come me, hanno subito l’intervento di asportazione di un tumore. Avevo una gamba molto gonfia, mi muovevo con difficoltà e a trent’anni, con due figli piccoli non potevo rassegnarmi. Ho avuto la fortuna di incontrare una fisioterapista in gamba, che mi ha suggerito una possibile soluzione: l’auto trapianto dei linfonodi. Era un intervento sperimentale, che allora si poteva tentare solo privatamente, sostenendo costi molto elevati e senza alcuna certezza del risultato. Eppure questa possibilità ha riacceso in me la speranza di una vita migliore e mi sono impegnata per trasformarla in realtà. È stato un intervento invasivo, seguito da una convalescenza lunga e complicata. Ha richiesto molta pazienza, ho dovuto tenere la gamba completamente bendata e immobilizzata. Nonostante tutto sono andata avanti con uno slancio che quasi non riuscivo a spiegarmi. Ci sono voluti quasi tre anni per apprezzare davvero il risultato: la situazione è migliorata notevolmente, ho potuto di nuovo rimettermi le scarpe e indossare i jeans, sentirmi a mio agio con me stessa, tornare a una vita normale: non credevo che ci sarei riuscita».

Ecco perché adesso Milena guarda il futuro a viso aperto: «Mi è stata donata la possibilità di rimettermi in gioco e ottenere una nuova vita. Non è stato facile, ci sono voluti tanto coraggio e determinazione. Ovviamente non ho smesso di curarmi, né di sottopormi a controlli regolari, ma ho recuperato una situazione di benessere tale da permettermi di aiutare altre persone. L’attività dell’associazione mi ha sostenuto, mi ha offerto speranza e buoni motivi per credere in me stessa».

Milena di recente ha avviato una nuova attività commerciale online nell’ambito dell’abbigliamento e ha girato un video per l’associazione con la sua testimonianza: «Non è stato facile, ma mi sono impegnata molto per regalare a qualcuno un po’ di coraggio e di speranza. Dopo essere cresciuta in un ambiente e in un clima sociale frenetico in cui non c’era tempo per pensare, ora do spazio solo a ciò che mi fa stare bene. Questo periodo doloroso mi ha insegnato ad ascoltare, a superare i miei limiti e a sentirmi in pace».

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