Proiettili made in Usa sul battello Iseo. Nel 1944 fu un «bersaglio occasionale»

Il gruppo di ricerca storica Air Crash Po ha ricostruito l’attacco alla motonave che causò 42 morti con le informazioni dell’archivio di Stato statunitense. L’obiettivo primario era un ponte ferroviario a Marone.

Furono gli americani, e non gli inglesi, a mitragliare il battello «Iseo» la mattina di domenica 5 novembre 1944 mentre da Tavernola puntava su Montisola. Non cambia nulla rispetto alla tragedia provocata dall’azione di guerra degli Alleati sul Sebino (morirono 42 passeggeri e ne rimasero feriti 33), e cambia poco rispetto alla vulgata del tempo che genericamente parlava di «angloamericani», ma il gruppo di ricerca storica Air Crash Po ha portato a termine un’altra missione. Ha ricostruito con precisione i dettagli di una vicenda che ancora oggi suscita tanta commozione grazie ai racconti degli ultimi testimoni oculari, a una canzone di Giorgio Cordini e con la mostra del Circolo Lavoratori Iseo visibile in questi giorni a Marone.

L’obiettivo del raid

Ago Alberti, Matteo Annoni, Luca Merli e Diego Vezzoli, consultando la documentazione custodita nell’archivio di stato statunitense, hanno scoperto che l’attacco al battello fu l’effetto collaterale di una missione che aveva come obiettivo primario la distruzione di un ponte ferroviario a Marone. Ma è il «bersaglio occasionale», come venne freddamente indicato nel rapporto militare consultato dai ricercatori di Air Crash Po, a segnare la storia delle comunità del lago. Sulla motonave e sulle persone che trasportava fu scaricata dalle mitragliatrici una quantità impressionante di colpi. Da lassù i piloti forse neanche si accorsero di quel che avevano provocato, dato che il battello non era affondato, e al rientro misero a rapporto che «Il traghetto diretto a est è stato mitragliato senza alcuna osservazione», observations in inglese, che potrebbe essere interpretato senza alcuna particolare attenzione oppure senza alcun particolare risultato da riferire.

Faville di fuoco

Chi pianse familiari, amici e parenti invece ebbe, da terra, un punto di vista totalmente diverso, come monsignor Bruno Foresti, testimone di quell’evento che più volte ha ricordato così: «Quando il battello ha superato di poco la linea mediana del lago, i due caccia ricompaiono nel cielo straordinariamente limpido ed eseguono una picchiata scaricando, l’uno dopo l’altro, il potenziale delle loro mitragliatrici. Faville di fuoco tracciano l’aria al pauroso gracidare delle armi. Poi, come lugubri avvoltoi, se ne tornano da dove sono partiti. Subito qualcuno (la pietà non è mai morta), rischiando, si avventura sulle poche barchette a remi o a motore e raggiunge il battello. Il giorno appresso, un barcone, solitamente adibito al trasporto del cemento e della ghiaia, passò di paese in paese del lago per consegnare i morti. Sul fondo erano allineate decine di salme e anche noi ritirammo la nostra triste porzione. Sì, lì c’ero anch’io a piangere, volontario necroforo di un giorno».

Ecco come Ago Alberti e i suoi colleghi di ricerca hanno delineato i dettagli della vicenda: «Alle 8:30 del 5 novembre 1944 dodici cacciabombardieri Reublic P-47D 28-RE Thunderbolt staccarono le ruote dall’aeroporto di Pontedera, per l’ennesima missione su un obiettivo tattico nella non lontana “Po Valley”. I grossi aerei americani si diressero verso il ponte ferroviario di Marone: le condizioni meteo erano ottimali e il ponte fu colpito da 24 bombe.

«A quel punto, come sempre accadeva durante le missioni, la formazione si suddivise e mentre quattro P-47 puntarono verso la base, gli altri 8 andarono a caccia di “targets of opportunity”, ossia di “bersagli occasionali». Avvistato sulla superficie del Lago d’Iseo un traghetto «diretto verso l’isola», scesero in picchiata ed effettuarono uno «strafing», ossia un mitragliamento aprendo il fuoco con le mitragliatrici di bordo. Vennero sparati in tutto 3.100 colpi calibro 0.50 ( 12,7mm). Al rientro alla base gli aviatori statunitensi non avanzarono rivendicazioni e, a proposito del mitragliamento del traghetto, riferirono che l’attacco fu «senza risultati, senza esito». Sono passati 77 anni, ma nessuno sul lago lo ha dimenticato.

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