«Ragionevole pensare a una terza dose». Locatelli: ragazzi in sicurezza per settembre

Il professor Locatelli: «Servirà per un richiamo della risposta immunitaria, anche se oggi non sappiamo quanto dura». «Bene» l’ok dell’Aifa a Pfizer per i 12enni: «Immunizzarli fondamentale per far ripartire le scuole»

Mentre il bianco inizia a distendersi sull’Italia, con quella «gradualità» assunta a bussola di un sentiero sempre più concreto, i contraccolpi non si scorgono. L’estate della tregua – o meglio ancora della vittoria nella battaglia decisiva al virus – si staglia all’orizzonte poggiando sui numeri: quelli dei contagi e dei ricoveri che calano, quelli dei vaccini che crescono. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico, sfoglia il bollettino di giornata e allunga lo sguardo sui prossimi snodi. Il futuro della sanità, l’ipotesi della terza dose, soprattutto l’estensione di Pfizer-BioNTech anche ai 12-16enni: con la possibilità tangibile, propone Locatelli, peraltro professore ordinario di Pediatria all’Università Sapienza di Roma, di metterli in sicurezza entro settembre, per la riapertura delle scuole.

Professore, partiamo dai numeri di giornata.

«Sono buoni numeri. Pur ricordando che anche un solo morto è un morto tragico, per il quarto giorno consecutivo siamo sotto la soglia, anche psicologica, dei 100 decessi. Scendiamo al di sotto di un’altra soglia, quella dei mille posti letto occupati nelle terapie intensive italiane. Tutto questo è il frutto combinato di quanto riusciamo a vaccinare efficacemente e di tutte le misure dal distanziamento alle mascherine. Rivendichiamo il principio di gradualità: se non fosse stato adottato, ci avrebbe in qualche misura portato al rischio di risalite».

L’Italia va verso il bianco.

«È molto importante che tutte le regioni siano omogeneamente indirizzate verso la zona bianca: dà l’idea di una situazione sotto controllo in tutto il territorio. Scendere a valori così bassi permette anche di riprendere la strategia di contenimento basata sul tracciamento».

La Lombardia com’è messa?

«Anche qui, contano i numeri. E sono numeri buoni che indicano il progresso effettuato. Non dimentichiamo però che cosa ci ha portato fuori da una situazione oggettivamente difficile».

Quali restano i meccanismi d’allerta per cogliere eventuali rimbalzi?

«Sottolineo l’importanza di proseguire sempre le politiche di sequenziamento: solo così c’è la possibilità di intercettare prontamente l’eventuale emergenza e diffusione di varianti».

A proposito: l’indiana preoccupa davvero?

«Nell’ultima survey nazionale, quella indiana rappresentava l’1% di tutti i ceppi. È molto circoscritta, e ciò è chiaramente dovuto alla situazione diversa tra noi e il Regno Unito. Sia per i differenti volumi di scambi con l’India, qui ben più contenuti, sia perché il Regno Unito ha investito tantissimo su una politica di immunizzazione con le prime dosi: noi abbiamo mostrato la dovuta attenzione anche alle seconde dosi, e questo in termini di protezione ha un vantaggio».

Qual è invece lo stato dell’arte in vista della possibile terza dose?

«Che possa servire una terza dose è nella logica delle cose. Può servire per un richiamo della risposta immunitaria, anche se va chiaramente detto che a oggi non sappiamo ancora compiutamente quanto duri, perché i tempi di osservazione sono limitati. L’eventuale decadimento del titolo degli anticorpi, e anche degli anticorpi neutralizzanti, comunque non necessariamente vuol dire aver perso la protezione immunologica, perché c’è anche una componente legata al sistema immunitario cellulare. Il problema potrebbe porsi in un intervallo che va parte da novembre o anche più in là».

Una terza inoculazione potrebbe servire anche per le varianti?

«Un’eventualità qualora dovessero emergere varianti che non mostrino una compiuta sensibilità ai vaccini. In questo caso si può sì parlare di cambiare vaccini, ma non di cambiare tipologia di vaccini a prescindere: chi ha ricevuto dei vaccini a Rna non si vede perché debba transitare su un vaccino a vettore adenovirale. Il ragionamento può essere sull’usare vaccini che abbiano maggior copertura rispetto alle varianti».

Le ultime varianti, indiana in primis, sfuggono ai vaccini?

«Non creiamo panico dove non ve n’è: non ci sono evidenze che queste varianti sfuggano in maniera rilevante».

Ora Pfizer è stato esteso anche ai 12enni. Quanto «pesa» questa decisione?

«Dobbiamo salutare con grande soddisfazione l’approvazione. È di assoluta importanza vaccinare anche la popolazione adolescenziale. E quando avremo studi che ne documentino la fattibilità, sarà importante anche per la fascia squisitamente pediatrica. Il tutto contribuirà a ridurre ulteriormente la circolazione».

È la chiave per far tornare in sicurezza tra i banchi, a settembre?

«Ci permetterà di far ripartire le scuole, riducendo sia i contagi sia le interruzioni nella didattica in presenza: la fascia adolescenziale è quella che più ha sofferto di questo. Avere adolescenti immunizzati contribuirà anche a proteggere ulteriormente dal rischio che si sviluppino e circolino varianti».

La malattia colpisce anche i bambini?

«È vero che siamo sotto la trentina di soggetti deceduti in età pediatrica per il virus, ma anche un solo caso per quella famiglia colpita è il caso che conta. Anche per questo è assolutamente importante vaccinare».

Entro quando si può arrivare a questo traguardo?

«Facendo uno sforzo, il tutto dovrà essere completato entro l’inizio dell’anno scolastico, se ce ne sarà tecnicamente la possibilità: e credo ci sia tutta, attendiamo 20 milioni di dosi per giugno e 84 nel trimestre successivo. Potrebbe essere anche un’incentivazione per andare in vacanza con maggiore serenità. Faccio un appello: vaccinare anche dai 12 anni in su, è anche una forma di tutela e di rispetto verso gli altri».

Ma è sicuro anche sui bambini, il vaccino?

«Gli studi condotti confermano appieno il profilo di sicurezza straordinariamente elevato e anche l’efficacia di risposta immunitaria».

La campagna vaccinale sembra procedere senza più intoppi.

«Basta guardare i numeri. È stato fatto un lavoro formidabile di messa in sicurezza di popolazione più fragile. L’Italia ha dato ottima prova di sé, partendo dall’essere promotrice di strategia del joint procurement. Avrà avuto qualche difetto nei contratti, che potevano essere fatti in maniera diversa, più vincolante: ma questa strategia ha evitato che partisse una sorta di guerra per accaparrarsi dosi di vaccino».

Guardiamo più avanti: qual è il futuro del virus?

«È molto probabile che diventi endemico. Quanta sarà la circolazione in un contesto di endemia, è però difficile da prevedere. Di tutte le malattie infettive, le uniche che siamo riusciti a estirpare sono il vaiolo, in tutto il mondo, e la poliomielite in Europa».

Oltre il Covid, le altre malattie non si fermano. C’è preoccupazione?

«Va ripreso tutto lo screening oncologico. Ci sono pochi dubbi che il ritardo nelle diagnosi sia il prezzo indiretto che siamo stati costretti a pagare alla pandemia, così come per i morti per patologia cardiaca».

La ripartenza del Paese dovrà passare anche da salute e sanità. Tre punti chiave?

«Abbiamo un’opportunità unica per porre mano ad alcuni aspetti cruciali. Su tutti e per primo: l’ammodernamento delle strutture ospedaliere, alcune vetuste e non consone al rispetto per il malato. Secondo: la digitalizzazione, e il nostro Paese ha un percorso importante da fare. Terzo: preparedness, cioè la preparazione, perché non possiamo escludere che quella da Covid-19 sia l’ultima delle zoonosi che ci troveremo ad affrontare. Ma c’è un punto ulteriore».

Quale?

«Cambiare la medicina territoriale, per renderla più performante rispetto alla necessità di una gestione il più possibile domiciliare dei malati, concentrando invece le patologie complesse in centri di eccellenza. Queste grandi sfide per il futuro: abbiamo tutti gli strumenti per giocarceli al meglio, perché avremo quantità di risorse mai avute prima».

Oggi è il 2 giugno: la Repubblica si deve fondare anche sulla sanità, oltre che sul lavoro?

«Il nostro sistema sanitario nazionale ha dato prova di sé testimoniando ancora una volta il suo aspetto universalistico e solidaristico: non dimentichiamocelo».

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