Vena artistica e allegria contagiosa
Il suo «cecello» fa il giro del mondo

A Marcello, 42 anni, con la sindrome di down piace fare l’attore. E ha inventato un omino stilizzato di successo.

«Che bello vederci!»: è così che Marcello, 42 anni, ogni mattina saluta gli educatori e gli amici del Centro socio educativo della Cooperativa Castello di Trezzo d’Adda. Se poi nota che l’atmosfera è un po’ pesante ci pensa lui a strappare un sorriso, abbassa gli occhiali tenendoli in equilibrio sulla punta del naso, inclina il collo, corruga la fronte e spinge in avanti le orecchie, perché stiano bene in fuori, «a sventola»: è la sua imitazione - personale e apprezzatissima - di Giulio Andreotti. Ha imparato osservando con attenzione gli interpreti del «Bagaglino»: «Non si è mai perso una puntata» racconta il papà Felice. «Durante il telegiornale – commenta Marcello – non sto mai zitto, ma gli spettacoli comici mi piacciono molto».

Marcello, figlio unico, è nato con la sindrome di Down e la sua infanzia non è stata facile: «Quando era piccolo – racconta il papà Felice – non c’erano molte opportunità per noi. Non c’erano centri specializzati come quelli di oggi. Anche a scuola non poteva contare su un’assistenza adeguata e continua. Ci siamo sentiti molto soli, è stata dura».

Il lavoro quotidiano di operaio

È arrivato al Cse di Trezzo nel 1996 e da allora ha avuto la possibilità di diventare «un vero operaio», come lui stesso racconta: «Metto le guarnizioni ai tappi gialli, impilo i cucchiaini». Sono attività meccaniche, ripetitive, ma rappresentano un vero lavoro, che offre a persone adulte con disabilità la soddisfazione, la responsabilità e la dignità di svolgere un incarico serio, puntuale. All’interno del Centro, Marcello ha trovato però subito anche l’opportunità di esprimere le sue inclinazioni artistiche. Durante il laboratorio di arte-terapia «Handic…a…pArte» guidato da Simona Ginestri, ha inventato il «cecello», un omino stilizzato, eseguito con poche linee semplicissime. «Il nome è una storpiatura affettuosa, viene da quello di Marcello. Ognuno dei partecipanti al laboratorio ha un soprannome, che in questo caso si è trasmesso alla sua creazione». Da quel disegno sono nati tanti progetti, prima un bijou, poi una mostra e tanti piccoli oggetti d’arte: quadretti ricamati, borse di stoffa, dipinti, venduti per sostenere le attività del laboratorio, finché è diventato una specie di «opera corale», e la mascotte della cooperativa. È un simbolo, un’idea in viaggio che mostra quanta bellezza, quanto valore possa esserci nelle «differenze».

Le braccia e le gambe sono fili sottili, il tronco una piccola clessidra, la testa una perla d’argento, mani e piedi sottili dischi di metallo, delicati come paillettes: il cecello viene realizzato a mano con grande cura da Camilla e Stefania, volontarie del laboratorio di arte-terapia, chiamate scherzosamente «cecelle».

Le sue «creature»

«Ne disegno tanti – racconta Marcello – bambini, adulti, genitori, maschi, femmine, in piscina, in bicicletta, con la gonna, la tuta o il pigiama. So fare anche l’esercito e la città dei cecelli. Li ho disegnati anche sul grembiule della mia mamma Regina. A volte li coloro, spesso però preferisco di no: mi piacciono anche in bianco e nero». Simona è rimasta colpita dal mondo fantastico che pian piano nasceva intorno a quella semplicissima figura. «All’inizio ho affiancato Marcello aggiungendo qualche particolare come l’ombra, una casetta, un paesaggio sullo sfondo. Poi quella forma accattivante ci ha stimolato ad andare oltre: abbiamo pensato che sarebbe potuto diventare un gioiello».

Il «cecello»

Così la maestra d’arte e le volontarie hanno incominciato a pensarci su e hanno elaborato un progetto, che hanno tentato di realizzare: «Non ci siamo riuscite al primo tentativo, abbiamo dovuto affinare la tecnica procedendo per tentativi, alla fine, però il risultato ci ha dato soddisfazione». È piaciuto moltissimo anche a Marcello, che ha continuato a disegnare i suoi cecelli con grande concentrazione, chino sul tavolo, impugnando in modo preciso il pennarello sottile. Sulla carta quelle figure sembrano ferme, nella realtà, però hanno incominciato a camminare e poi a volare in giro per il mondo, su iniziativa di due giovani, Lorenzo Guirri e Niccolò Pozzi. «Siamo due viaggiatori – racconta Niccolò – e non un’agenzia, insieme ai nostri compagni di viaggio, spesso differenti, partiamo per diverse destinazioni. Da anni collaboriamo con il Cse come volontari e così abbiamo ricevuto in dono uno dei primi cecelli realizzati. Siamo rimasti subito colpiti dall’originalità di questo ciondolo e dal suo profondo significato: con la purezza delle sue linee e la sua semplicità esprime la bellezza della diversità, la capacità di accoglierla e di farne emergere i talenti, i punti di forza. Tutto questo in un oggetto così facile da trasportare, molto adatto a diventare un simbolo. Così abbiamo deciso di portarlo con noi e da allora in poi non ce ne siamo più separati».

Una storia in viaggio

Ovunque vadano, Lorenzo e Niccolò lasciano un cecello, con un cartellone che ne racconta la storia in italiano e in inglese e termina con l’invito a scattarsi una foto con lui e a farla circolare sui social: così il cecello vive avventure sempre nuove, reali e virtuali, e colpisce al cuore chiunque lo incontri. «In questo periodo – racconta Niccolò – sta attraversando l’Asia con Davide Comotti di Nembro, un altro viaggiatore che ha fatto un pezzo di strada con noi in India e poi ha proseguito per conto suo». Dalle foto scattate durante i viaggi, sono nati un libretto che racconta la storia del cecello e una mostra al Castello di Trezzo che ha coinvolto molte persone. Il laboratorio di arteterapia si svolge a settimane alterne, e Marcello si siede sempre nello stesso posto, accanto a Simona. Tiene molto all’ordine, ai piani, al suo programma, nei ritmi della routine quotidiana si sente al sicuro. Disegnare è una delle sue attività preferite ma non l’unica.

Mostra con orgoglio il grande quaderno ad anelli con i testi che compone durante le visite in biblioteca, dedicati alla natura, ai mesi e alle stagioni. Lo sfoglia e lo rilegge ad alta voce con piacere: ha descritto la terra vista dal cielo, con le nuvole, l’aria che avvolge e circonda ogni cosa. C’è un tocco di poesia nei suoi testi, con la pioggia, la neve, l’amicizia e la gioia di una giornata di sole. «Marcello è allegro – racconta il papà Felice – è una persona molto comunicativa, che intreccia facilmente relazioni. Anche a casa ci aiuta, prepara la tavola, sparecchia, è molto preciso in tutto quello che fa». È un grande osservatore: «È capace di riconoscere quali altri utenti del centro hanno la sindrome di Down come lui – racconta Daniele Barelli, coordinatore del Cse di Trezzo d’Adda –. Conosce le caratteristiche distintive di ognuno, e ne fa imitazioni divertenti, mai offensive».

Natalino Maggioni, coordinatore della cooperativa sociale Castello, si è accorto subito del talento d’attore di Marcello: «L’ho coinvolto con piacere nelle nostre attività di recitazione: ogni anno giriamo alcuni cortometraggi, e lui ha sempre un ruolo. A volte sembra distratto, ma è solo l’apparenza, in realtà non gli sfugge niente. È quasi magico». All’inizio faticava un po’ a stare davanti alla macchina da presa, poi però ha preso confidenza con le regole del set cinematografico: «Non dovrei mai guardare in macchina» osserva con un sorriso ma ogni tanto, confessa, l’occhio gli scappa. È molto preciso nell’eseguire le azioni che il copione gli richiede: «Devo camminare, guidare, correre», e naturalmente ripetere semplici battute. Del resto Marcello è famoso per le sue frasi, che spesso diventano veri e propri tormentoni, ripresi anche dagli educatori nelle newsletter della cooperativa.

I suoi film

Nei primi film ha interpretato il commissario Marcel: «Avevo la pipa e fumavo, ma solo per finta». Poi sono arrivate sceneggiature sempre nuove: «Ho interpretato il ladro, il papà della sposa, l’innamorato». Nel cortometraggio «Dream Shots» è addirittura un serial killer: «Per tutto il film – spiega Natalino – cerca di dormire, fa sogni strani e cupi, uccide tutti quelli che provano a svegliarlo». Marcello ha avuto due padrini d’eccezione, i comici Ale e Franz: «Ci conosciamo da tanti anni – spiega Natalino –. Franz in particolare conosce bene il mondo delle cooperative sociali ed è impegnato attivamente nel volontariato. Ha creato con Marcello un legame speciale: l’ha perfino coinvolto con un piccolo cameo in uno dei loro spettacoli, nella parte di un gangster. Aveva anche una battuta: “Jack è morto”. Ogni volta che s’incontrano, mandano sempre a salutare la sua mamma, Regina, una persona davvero speciale».

Bellezza e fragilità

Non tutte le giornate sono uguali per Marcello, qualche volta gli capita di stare male e di sentirsi «scarico», come tutti: «Solo in quei momenti è di cattivo umore – racconta papà Felice – non vuole uscire, nemmeno per passeggiare». In quei giorni non vuole vedere nessuno: «Ha inventato un’espressione anche per descrivere questi periodi “neri” – spiega Daniele –, dice che si sente scollegato, ormai abbiamo adottato anche noi la stessa espressione. Quando gli succede, preferisce restare a casa e riposare».

Sono occasioni molto rare, perché il suo entusiasmo, alla fine, vince su qualsiasi ostacolo: «Non mi piace restare a casa, da solo non posso fare nulla. Al Cse invece ho tanti amici, mi piace molto trascorrere del tempo con loro, poi devo lavorare, recitare, andare in biblioteca, disegnare». Il suo sorriso contagia tutte le persone che gli sono accanto, com’è accaduto con il personaggio nato dal suo disegno, il cecello, che ora, sotto forma di bijou, porta in giro per il mondo la sua storia e quella degli altri ospiti del Cse, raccontando a modo suo la bellezza e il valore della fragilità.

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