«Vi portiamo la cena per resistere»
I ristoratori non mollano col delivery

La sfida delle consegne a domicilio, per non spegnere i fornelli. «Costi elevati, ma almeno manteniamo un rapporto con la nostra clientela».

Il risotto all’onda e la carne grigliata a puntino sono stati esclusi dai menù. Ma i ristoratori hanno trovato valide alternative ai piatti in formato «delivery» (la vecchia consegna a domicilio) o con consegna presso il locale, rispettando il distanziamento sociale e la permanenza limitata allo scambio tra pietanze e denari.

Così cerca di rialzare la testa il settore della ristorazione, duramente colpito dalle limitazioni portate dalla zona rossa, una chiusura delle attività paventata da giorni nelle bozze di Dpcm del Governo e concretizzatasi nel giro di poche ore. Ma c’è chi, forte dell’esperienza del primo lockdown, non ha mai davvero spento i fornelli, cercando di sopravvivere con il servizio take away e il delivery, le due uniche modalità di lavoro consentite. Nelle cucine si continua a spadellare, cercando di tenere saldo il legame con la clientela. E sui social, spopolano gli hashtag #delivery, #asportodiqualità, #acasatua, #ristorantibergamo.

Le associazioni di categoria ancora non hanno elaborato una stima degli imprenditori che hanno deciso di continuare a lavorare nonostante le limitazioni. Ma il numero è in crescita: «Le tipologie sono diverse – spiega Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo -. Qualcuno ha deciso di non aprire, altri di fare asporto presso il proprio locale e altri ancora di offrire il servizio delivery. Queste due ultime possibilità sembrano uguali, ma sono diverse. Il delivery ha una complessità maggiore rispetto all’asporto, perché bisogna attrezzarsi per la consegna, attraverso mezzi propri o appoggiandosi alle note piattaforme. È un mondo variegato». Comun denominatore degli imprenditori che una decina di giorni fa erano scesi in piazza a protestare, apparecchiando tavoli «fantasma» lungo il Sentierone, è la voglia di continuare a lavorare, nonostante tutto. A mettersi in gioco trattorie, ristorantini, locali stellati: «È una grande risposta di resilienza dei bergamaschi, che dimostrano grande intraprendenza – continua Fusini -. Tanti ristoratori lavorano con l’asporto non perché sia remunerativo, lo fanno per mantenere viva l’azienda e la propria squadra, per dare un senso alla propria vita. Lo abbiamo visto dalle ricerche, è un modo per tenere acceso il rapporto con la clientela, c’è il timore molto forte di perderlo».

Ma portare a casa i piatti della ristorazione non è esattamente come consegnare una pizza (con tutto il rispetto per il piatto nazionale). La sfida è non perdere la qualità durante il trasporto, offrendo qualcosa di gradevole alla vista. Un piatto che non smentisca il buon nome del ristorante. E gli chef non si sono certo tirati indietro: «Ogni esperienza è diversa dall’altra, questa è la ricchezza dei locali del nostro territorio – riflette Fusini -. Per alcuni imprenditori questa è una sfida, si cerca di tradurre la loro prestazione, che in alcuni casi ha raggiunto livelli altissimi, in qualcosa di altrettanto efficacie, con una metodologia di lavoro completamente nuova. È un investimento per il futuro, perché queste nuove modalità di acquisto, già diffuse a livello internazionale, in parte resteranno anche dopo la pandemia».

È una sfida, si diceva. Perché l’arte dell’impiattamento svanisce in una vaschetta compostabile, la gentilezza del personale di sala viene a mancare, l’atmosfera svanisce. Ma davanti all’ondata pandemica e alla chiusura dei locali, si è pronti ad allestire la tavola di casa a lume di candela e a rispolverare il servizio buono.

E i numeri crescono, non solo per pizza e sushi. La conferma arriva da Confesercenti Bergamo: «I consumatori che scelgono di utilizzare il food delivery aumentano mese dopo mese – afferma Filippo Caselli, direttore dell’associazione di categoria di via Galli -. È un fenomeno in continuo movimento, trasversale ad ogni forma di attività, dal pubblico esercizio fino agli chef stellati. È un servizio apprezzato dalla clientela, perché prima arrivava solo la pizza d’asporto, oggi, anche grazie allo sviluppo di applicazioni e siti internet dedicati, il fenomeno ha nuovi strumenti su cui contare».

I costi vivi dei locali restano molto alti e il delivery rappresenta solo una stampella a cui reggersi in vista di una ripartenza: «Oggi è un servizio reso necessario dalla situazione di chiusura per molti bar e ristoranti per mantenere vivo il rapporto con la clientela e acceso il motore dell’attività – conclude Caselli -. Spesso il servizio è svolto in perdita. Speriamo ci sia comunque presto un ritorno alla normalità, con il ritorno dei clienti nei locali, seguendo ovviamente le regole del distanziamento sociale e rispettando tutte le norme volte a tutelare la salute pubblica. Solo con una riapertura massiccia, possiamo evitare il fallimento di molte nostre attività»

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