Bergamasca, la crisi si fa sentire con il crollo del 2,1% delle imprese attive

Terzo trimestre. Giù edilizia, commercio e manifattura e l’artigianato precipita sotto quota 30mila aziende. Mazzoleni: «Pesano i prezzi di energia e materie prime».

La crisi morde sempre di più e il segno è ben visibile sulla demografia delle imprese bergamasche. Nel report della Camera di commercio sul terzo trimestre 2022 la raffica di numeri negativi è impressionante sia per l’industria sia per l’artigianato, con costruzioni, commercio e manifattura fra i settori più colpiti.

Su un totale di 92.757 aziende registrate, fra luglio e settembre le iscrizioni sono state 890, con un crollo del 12,4% rispetto allo stesso periodo del 2021, mentre le 3.044 cessazioni (+254,5%) hanno portato il saldo a -2.154 attività. Con un tasso di natalità (cioè il rapporto fra il numero di imprese iscritte nel trimestre e quelle registrate nello stesso periodo) pari appena all’1% e un tasso di mortalità del 3,3%, anche il turnover netto è negativo: -2,3%.

«Chiari segnali di rallentamento», per il presidente della Camera di commercio di Bergamo, Carlo Mazzoleni, che ritiene il calo delle iscrizioni e il boom di cessazioni nel trimestre «conseguenza di due dinamiche: la cancellazione delle posizioni inattive da lungo tempo e il rimbalzo rispetto ai livelli minimi toccati nel biennio della pandemia», durante la quale molte situazioni erano rimaste congelate soprattutto grazie ai provvedimenti emergenziali a sostegno delle imprese.

Anche guardando alle sole imprese attive i numeri sono preoccupanti: 83.149 in totale, con un crollo di 1.816 unità, pari al -2,1% su base annua. «Si tratta del valore più basso degli ultimi 12 anni - sottolinea ancora il presidente Mazzoleni -. Questo quadro si spiega con l’inflazione e le dinamiche di crescita nei prezzi dell’energia e delle materie prime, che hanno causato il rallentamento di tutti settori, ma soprattutto dell’industria, dell’artigianato e dell’agricoltura».

Le situazioni

I comparti che hanno segnato la maggior perdita di imprese attive sono le costruzioni (-716 realtà, -4,1% su base annua), il commercio (-742, -3,9%) e la manifattura (-303, -2,8%), ma l’arretramento c’è stato anche per l’agricoltura (-25, -0,5%) e i servizi (-54, -0,2%). Nel periodo luglio-settembre 2022 sono diminuite anche le localizzazioni attive, fra sedi e unità locali: 107.140 in totale, oltre 1.400 in meno rispetto a un anno prima.

L’artigianato

È in sofferenza anche il mondo dell’artigianato. Fra luglio e settembre 2022 le realtà registrate erano 29.093, per il 73,3% sotto forma di impresa individuale, quasi la metà (44%) appartenenti al settore delle costruzioni, di cui 28.961 attive. Non si era mai arrivati sotto la soglia delle 30 mila unità, fatta eccezione per il primo trimestre 2021, quando l’effetto Covid aveva fatto scendere le aziende registrate a 29.996 mila e quelle attive a 29.926. Con appena 329 iscrizioni (-17,8% su base annua) e ben 1.594 cessazioni, il saldo risulta negativo di ben 1.265 unità. Considerato che il tasso di natalità delle imprese artigiane è stato dell’1,1% e quello di mortalità del 5,5%, anche il turnover netto segnala una perdita del 4,4%.

Anche fra le attività artigiane le perdite sono generalizzate, in particolare nelle costruzioni (-746 imprese, pari a -5,5% su base annua) e nella manifattura (-309, pari a 4,7%), mentre il primato della natalità spetta alle attività agricole (+1,7%).

Chi va meglio

Di segno positivo, invece, i dati sugli occupati nel terzo trimestre di quest’anno: 417.706 addetti, di cui 349.844 dipendenti e 67.862 indipendenti, con una crescita rispetto allo stesso periodo del 2021 di 17.316 persone (+4,3% su base annua), in particolare nei servizi (+12.018), nella manifattura (+3.162), nelle costruzioni (+1.516), ma anche nel commercio (+233) e nell’agricoltura (+41).

Le procedure concorsuali, gli scioglimenti e le liquidazioni nel terzo trimestre 2022 sono stati in totale 189, di cui due ai sensi del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza entrato in vigore a luglio, che da un lato offre più strumenti per negoziare il debito, ma dall’altro ha introdotto una serie di misure d’allerta che obbligano le aziende a dotarsi di organi di controllo interni per cogliere sul nascere eventuali segnali di difficoltà.

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