Contratto tute blu: «L’aumento rischia di ridurre i premi»

PREVISIONI. Imprese «spiazzate» dall’Istat. Piccinali (Confindustria): le aziende ora devono trovare le soluzioni per recuperare i maggiori costi.

Spiazzate dall’Istat. Tanto che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, e il suo vice al Lavoro e alle Relazioni industriali, Maurizio Stirpe, hanno indirizzato una missiva scritta a quattro mani al presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Francesco Maria Chelli, per mettere nero su bianco proprio quella «sorta di spiazzamento fra dati previsionali e dati consuntivati». Perché le imprese metalmeccaniche l’aumento medio di 123,40 euro lordi mensili (a partire da questo mese) ai propri dipendenti non se lo aspettavano. Era più prevedibile un aumento intorno agli 88 euro.

Le previsioni

E invece, chi applica il contratto nazionale firmato da Federmeccanica e Assistal e da Fim, Fiom e Uilm, tanto deve corrispondere alle sue maestranze. La previsione dell’Ipca, l’Indice dei prezzi al consumo armonizzato, al netto dei beni energetici importati, relativa al 2022 risultava pari al 4,7%, poi, a consuntivo, al 6,6%. In questo senso «appare grave la mancanza di una comunicazione trasparente e coerente da parte dell’Istat» e «per il futuro chiederemo una maggiore attenzione alla coerenza tra i comunicati diffusi» dall’Istituto.

Del resto, come spiega Agostino Piccinali, presidente del gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo, «considerando l’Istat un organo ufficiale e affidabile, ci aspettavamo che la previsione sul costo della vita e quindi sull’indice Ipca fosse più vicina al dato previsionale». Un dato uscito «nel periodo in cui la maggior parte delle imprese costruisce il budget e magari ha effettuato incrementi di listino insufficienti con le aziende che ora devono trovare delle soluzioni per recuperare i maggiori costi». Ecco i possibili scenari: «C’è il rischio che corrano ai ripari ex post, ammesso che sia possibile, oppure che i bilanci consuntivi siano meno floridi», continua Piccinali. E «se da un lato l’aumento va a beneficio dei lavoratori e questo è positivo, dall’altro un bilancio meno florido porterà ad un premio di risultato più contenuto». In sintesi, «il metodo è stato apprezzato e continua ad esserlo, ma è mancata la coerenza tra i dati pubblicati dall’Istat».

Come si traduce il cuneo fiscale

L’aumento previsto dal contratto nazionale di 123,40 euro lordi al mese (per un livello C3), in un anno porta in busta paga 1.604,20 euro, che, sommati agli effetti della riduzione del cuneo fiscale (pari a 996,52 euro), fa salire il totale mensile a 209,20 euro lordi. E in un anno il beneficio si traduce in oltre 2.700 euro in più in busta paga.

Secondo Mirco Rota della Fiom-Cgil nazionale «seppur si tratta di cifre consistenti, non si può parlare di aumenti, ma di adeguamenti al costo della vita che nel 2022 è stato molto forte». La ricetta di Rota è la seguente: «Adesso servirebbe una legge che detassi gli aumenti contrattuali, evitando che metà di questi importi finiscano in tasse o contributi». È sulla stessa linea Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim-Cisl: «È importante che il taglio del cuneo fiscale diventi strutturale, perché al momento è finanziato fino a fine anno. Sarebbe utile che con la consistenza degli aumenti salariali si affronti il tema del “fiscal drag”, perché quel pezzo in più di salario è comunque soggetto a tassazione. Serve quindi ridurre la tassazione o detassare l’aumento perché il lavoratore non abbia una perdita».

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