Il lavoro introvabile: alle coop orobiche mancano 700 addetti

L’emergenza. La carenza è legata soprattutto alla sanità. Guerini: «Col Covid le rinunce: pesano gli stipendi bassi».

La voragine che si è aperta durante il Covid è ancora aperta, come una ferita che non riesce a rimarginarsi. Gli operatori che hanno lasciato le cooperative per ospedali e case di riposo, indietro non sono tornati e si fa fatica a trovarne di nuovi. A soffrire della carenza di personale è tutto il settore: mancano all’appello circa 700 lavoratori su 13.400 occupati nelle coop orobiche, di cui 500 tra infermieri, Oss, educatori e fisioterapisti nelle cooperative socio-assistenziali (su 8mila addetti): c’è un calo di appeal, gli stipendi più bassi rispetto al pubblico pesano come mai in passato e, nonostante l’impulso del Covid sulle professioni sanitarie, anche il prestigio sociale riconosciuto a questi lavoratori sembra essere calato al punto che troppe posizioni all’interno delle realtà che operano nel Terzo settore restano vacanti.

A soffrire della carenza di personale è tutto il settore: mancano all’appello circa 700 lavoratori su 13.400 occupati nelle coop orobiche, di cui 500 tra infermieri, Oss, educatori e fisioterapisti nelle cooperative socio-assistenziali (su 8mila addetti)

È una prima volta che preoccupa, anche perché gli sforzi delle coop nell’attrarre nuovi operatori restano in buona parte senza risultati e spesso ci si rivolge alle agenzie interinali. Il rischio è un impoverimento progressivo dei servizi e di bandi deserti per la mancata partecipazione alle gare. «La fame di lavoro è cresciuta quando abbiamo iniziato ad assistere a fenomeni di dimissioni durante il Covid, col personale socio-assistenziale sottoposto a uno stress molto forte – conferma Giuseppe Guerini, presidente di Confcooperative Bergamo –. Così abbiamo iniziato a fare i conti con la scarsità di personale».

Lo stress dovuto anche a situazioni di precariato che nelle cooperative pesano di più che nelle strutture pubbliche a fronte anche di un salario meno favorevole. «C’è una minore attrattività, che però è comune in tutta Europa – puntualizza Guerini –, dove si osserva la stessa difficoltà di trattenere il personale nei settori sociosanitari ed educativi, perché scarsamente riconosciuto e poco retribuito rispetto al livello di preparazione richiesto».

Stipendi più bassi in media del 10% ad inizio carriera, con una forchetta che si amplia con il passare del tempo. «Nel pubblico c’è più possibilità di fare carriera – aggiunge Guerini –, e di accedere a ruoli dirigenziali, dove la differenza di stipendio è più elevata». La leva dello salario nel Terzo settore è difficile da azionare e questo rappresenta un altro limite: «In gran parte gli operatori delle coop lavorano nel mercato pubblico, governato da accreditamenti o da appalti, che hanno tariffe fisse – aggiunge Guerini –. La Regione ha incrementato la tariffa dei servizi accreditati del 2,5%, peccato però che l’aumento viene assorbito dall’impatto dell’inflazione. Perciò ci appelliamo alle istituzioni pubbliche perché riconoscano il valore di questo lavoro: se la scelta dei comuni è di continuare risparmiare sul lavoro sociale, non andremo molto lontano». C’è poi il problema che Guerini chiama il «prestigio sociale», venuto meno in questi anni: «Un tempo si sceglieva questo lavoro con una carica motivazionale maggiore, anche a fronte di uno stipendio minore – conclude –. Oggi, complici anche i tanti attacchi alle Ong, non è più così».

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