Il ministro: «Non abbiamo bisogno di un salario minimo legale»

IL CONVEGNO. Il ministro Calderone: risposte nuove al lavoro che cambia. L’apprendistato non funziona. «Smart working una realtà ma senza norme precise».

«Non abbiamo bisogno di un salario minimo legale, perché il valore dei contratti collettivi, insieme ad altri istituti, fa la differenza, in un sistema di garanzia». Marina Calderone, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, intervenuta ieri al convegno promosso dai consulenti del lavoro di Bergamo e Brescia all’Auditorium Parenzan, sgombra subito il campo e detta la linea che si è dato il governo sulla gestione del lavoro, con il superamento del reddito di cittadinanza.

Le esigenze di imprese e lavoratori

«Siamo di fronte ad un lavoro diverso da quello che abbiamo imparato a fare e dobbiamo rispondere alle esigenze delle imprese e dei lavoratori. Bisogna guardare il futuro con gli occhi del futuro e non del passato». Apprendistato che «non ha prodotto i risultati sperati», e smart working cresciuto in assenza di un quadro normativo preciso sono aspetti da inserire in un quadro che vede il lavoro virare verso la ricerca (per le imprese) di professionalità introvabili e (per i lavoratori) di occupazioni in grado di conciliare vita e lavoro.

Lavoro che «si fa dono» e che non deve essere utile solo per «far quadrare i conti», dice il ministro. E soprattutto «nel rispetto delle regole». Spinge forte su questo tasto, Calderone, e si scaglia contro tutte le modalità che possano allontanarsi da questo concetto: «Si può vincere o perdere, ma con dignità». Poi sottolinea l’importanza della «sussidiarietà, che condensa valori molto importanti», e la necessità di «un grande patto per il lavoro, dove ognuno faccia la propria parte, con responsabilità».

Occorre una linea di «azione e obiettivi da raggiungere». «La sfida è costruire una società migliore, inclusiva, equa e solidale». Sollecita i giovani - che «sono molto meno distratti di quello che pensiamo» e che possiedono i nostri stessi valori, anche se «modulati in maniera differente» - a capire che il lavoro è «un diritto, ma soprattutto un dovere» e che «devono giocarsi la partita: stare alla finestra o a bordo campo non se lo possono permettere», il lavoro non ha mai bussato alla porta. E precisa che «una società senza giovani non ha prospettive».

Disoccupazione e offerta di lavoro

Ci sono un milione di posti di lavoro scoperti e «un tasso di disoccupazione del 7,5% in Italia». «Con l’avvio della piattaforma Inps di supporto per la formazione e il lavoro abbiamo deciso di rilanciare l’inclusione sociale e lavorativa. Una risposta alle esigenze occupazionali non solo degli ex percettori del reddito di cittadinanza, ma con una visione più ampia per aiutare le imprese ad incontrare la manodopera». Dei 200mila potenziali soggetti interessati, per ora si sono iscritti alla piattaforma in 50mila. C’è poi il tema dell’intelligenza artificiale, che «possiamo subire o governare: deve essere uno strumento per lavorare meglio, altrimenti ci si avvia verso una società fortemente sussidiata».

La conciliazione vita-lavoro

Temi, quelli affrontati dal ministro, attraversati trasversalmente nel dibattito sulla conciliazione vita-lavoro, organizzazione flessibile e nuovi modelli organizzativi. «Flessibilità e welfare sono le risposte al cambiamento – osserva Cecilia Catalano del Centro Studi dell’associazione nazionale dei consulenti del lavoro -. Da un’indagine che abbiamo condotto emerge che il 60,5% dei potenziali dipendenti cerca l’equilibrio vita-lavoro in un’azienda; la retribuzione conta per il 54,5%». Nelle imprese è necessario «un processo di evoluzione – dice Simona Turconi, manager che in Gewiss si occupa dei talenti da ricercare e far crescere – dove le risorse umane sono un valore fondante, motore dell’azienda».

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