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Martedì 10 Giugno 2025
Inflazione e stipendi al palo, 2 clienti su 3 ora rinunciano agli acquisti «superflui»
LA RICERCA . Sondaggio tra i commercianti sui cambiamenti nei consumi dei bergamaschi negli ultimi 5 anni. Il 20,5% opta per prodotti non di marca. Fusini: «Frena lo shopping d’impulso: chi compra, prima ci riflette».
Gli scontrini –al pari del potere d’acquisto degli stipendi, causa inflazione – si sono alleggeriti negli ultimi cinque anni, da quando il Covid si è prepotentemente presentato, incidendo anche sulle modalità di fare acquisti, dalla spesa alimentare allo shopping di vestiti e scarpe. Uno spacccato sull’evoluzione delle abitudini di consumo dei bergamaschi emerge dalla ricerca promossa da Confcommercio Bergamo realizzata da Format Research, i cui risultati sono stati presentati ieri.
Un quinquennio segnato da inflazione, crisi energetica, stipendi al palo e una conseguente erosione del potere di acquisto, quadro complesso dal quale emergono alcuni dati significativi: il 64,1% degli imprenditori (praticamente due su tre) conferma una netta riduzione degli acquisti dei beni «superflui» da parte della clientela e il 38,5% denuncia una diminuzione dei clienti in negozio.
Le nuove abitudini
Per dare l’idea il direttore di Confcommercio Bergamo, Oscar Fusini, rievoca un’immagine «degli anni Novanta, quando si usciva dal supermercato con due carrelli pieni di spesa. Ecco, oggi i consumatori continuano a frequentare i negozi, ma fanno delle “spesine”. È la conseguenza della spinta inflattiva che ha portato molte famiglie in difficoltà, con una spesa media che è scesa e i negozianti che hanno però costi più alti di gestione. Bisogna anche ricordare che in questi ultimi cinque anni abbiamo avuto una crisi energetica, un caro mutui con un rialzo dei tassi, tutto questo ha inciso, spostando le persone all’acquisto negli «hard discount», alla ricerca di prodotti meno costosi».
Alla base delle riflessioni del direttore, i dati di Format Research raccolti lo scorso marzo in un campione rappresentativo (700 casi) dell’universo imprese della provincia di Bergamo. Rispetto all’affluenza dei clienti in negozio, quasi la metà delle imprese al dettaglio (il 43,6%) ritiene che l’affluenza dei clienti sia rimasta stabile rispetto a cinque anni fa, mentre il 38,5% denuncia una diminuzione. Ma c’è anche un 17,9% che segnala un aumento. C’è poi il capitolo della ricerca che indaga i cambiamenti nelle abitudini di acquisto. Non solo, si diceva, il 64,1% degli intervistati osserva una riduzione dell’acquisto dei beni superflui privilegiando acquisti necessari, c’è anche un 20,5% che segnala l’acquisto di beni «non di marca» per cercare di risparmiare qualcosa. C’è anche una maggiore attenzione (17,9%) al tema della sostenibilità ambientale, dal packaging all’intero ciclo di vita del prodotto.

A soffermarsi sul fenomeno del «private label» è Luca Bonicelli, presidente gruppo gastronomi salumieri di Confcommercio Bergamo (lui stesso imprenditore): «Sempre più persone scelgono prodotti di insegna, inferiori a livello di prezzo rispetto a quelli griffati, ma non in qualità. Spesso sono infatti i grandi marchi a produrre per le catene commerciali, che poi vendono lo stesso prodotto con la loro insegna, a prezzo inferiore. Così facendo si tagliano i costi di commercializzazione e della pubblicità e il prezzo all’utente finale è più conveniente».
Dalla città alla provincia i bergamaschi cercano quindi di risparmiare, adottando nuove strategie. Ma, avverte Fusini, cambiano anche le voci di acquisto: «Nel settore non alimentare stiamo osservando come le persone spendano meno in abbigliamento e vestiti, ma non in viaggi, bellezza e salute. Inoltre i giovani mangiano molto di più fuori casa, altro settore che sta cambiando. Gli acquisti di «impulso» si sono invece molto contratti: difficile che guardando un bel vestito in vetrina, il cliente entri e compri nell’immediato».. Insomma, prima ci si riflette e si fanno i conti con il budget sempre più ridotto.
Il commercio on line
Per quanto riguarda le vetrine virtuali invece, l’84,6% delle imprese del commercio della nostra provincia dichiara di non offrire servizi di e-commerce, sia con siti propri che appoggiandosi a piattaforme. Di questi, il 97% dice di non essere interessato o di non avere risorse per affrontare l’investimento economico necessario per approdare in rete, mentre il 3% dichiara l’intenzione di introdurre l’e-commerce entro il 2025/2026. Le attività che hanno però investito sul commercio on line durante il periodo pandemico (una quota minoritaria del 5,1%) dichiarano «un notevole aumento delle vendite on line», con il 66,2% degli intervistati che nel frattempo ha ampliato anche le categorie di prodotti in vendita e il 35,5% che dichiara un aumento del numero di acquisti. Resta valido il vecchio «passaparola», anche se adesso è digitale: il 50,6% degli imprenditori crede che siano fondamentali le recensioni nel processo decisionale del cliente.
Per affrontare le nuove dinamiche del commercio sono stati messi in campo diversi strumenti da parte degli operatori: ordinare prodotti non immediatamente disponibili al proprio cliente (66,7%), fare offerte speciali e sconti (59%), investire sulla qualità del prodotto (55,4%). Spiega Luca Bonicelli: «Per quanto riguarda le valli, viviamo un calo dei clienti, dovuto anche allo spopolamento, mentre sul turismo non siamo ancora così forti, dobbiamo trovare soluzioni per crescere. Però ci sono buoni segnali per chi lavora sulla qualità e sul rapporto personale con il cliente, molti negozi sono ancora dei presidi sociali. Nei piccoli Comuni in futuro resterà magari un solo negozio, per questo dobbiamo imparare ad essere «multicanale», offrendo la salumeria ma anche la cancelleria e la rivendita dei giornali, dando un servizio. I social – aggiunge – diventano fondamentali per farsi conoscere, sono una vetrina. Un tempo la spesa si faceva per telefono, oggi basta mandare un WhatsApp e la spesa viene portata a casa».
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