L’auto elettrica ora è in stallo: «Un rinvio frutto dei dubbi, il problema ambiente resta»

Automotive. Slitta la messa al bando in Europa del motore endotermico. Piccinali (Confindustria): «Siamo riusciti a prendere tempo, sfruttiamolo per non farci trovare impreparati. La transizione apre nuove possibilità». Leggi l’approfondimento su L’Eco di Bergamo di martedì 7 marzo.

Il futuro sarà delle auto elettriche? Quella che per il Vecchio Continente fino a poche settimane fa era una certezza ora è stata derubricata a una possibilità. Dopo l’opposizione di Italia e Germania, l’Unione europea ha infatti rinviato a data da destinarsi l’adozione definitiva del regolamento sullo stop al motore endotermico dal 2035, che era invece stato approvato a maggioranza il 14 febbraio dall’Europarlamento con il voto contrario della sola Polonia e l’astensione della Bulgaria.

Non è in discussione l’obiettivo delle emissioni zero, ma quale strada prendere per raggiungerlo. «Questo rinvio è sintomo dei tanti dubbi che aleggiano - sottolinea infatti Agostino Piccinali, presidente del Gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo -. Il problema ambientale c’è e va affrontato, ma non bisogna puntare tutto su un’unica soluzione».

Secondo uno studio di Federmanager e Aiee (Associazione degli economisti dell’energia) presentato a fine febbraio, in Italia l’intera filiera dell’automotive è caratterizzata principalmente da aziende di piccole dimensioni e conta in totale 5.500 imprese che coinvolgono 274 mila addetti, con fatturato connesso di 105,8 miliardi di euro. Il comparto della componentistica è quello più esposto: su 2.200 imprese delle 5.500 totali, che registrano 161 mila occupati e 45 miliardi di fatturato, 500 sono fortemente a rischio.

Il rapporto evidenzia che l’Italia rischia di più con lo stop ai motori endotermici nel 2035: sarebbe il Paese «più penalizzato tra le nazioni europee produttrici di componenti in termini di riduzione di posti di lavoro, con un -37% di forza lavoro, vale a dire circa 60 mila occupati persi entro il 2040».

Anche i dati Istat regionali elaborati da Intesa Sanpaolo confermano un tessuto fatto per lo più di piccole e medie imprese impegnate soprattutto nella componentistica auto. In Lombardia si concentra un quinto delle unità locali dell’industria dell’automotive nazionale e il 15% dei suoi addetti, con Bergamo seconda provincia della regione, dopo Brescia, per occupati nel settore: nelle circa 70 unità locali trovano impiego 4.916 persone, pari al 3,7% del manifatturiero provinciale. Numeri significativi, che però non tengono conto di tutta la filiera, ma solo della parte «core» del comparto. Non sono, infatti, considerate le imprese a monte specializzate nella realizzazione di prodotti in metallo o materie plastiche e gomma utilizzati che vengono immessi nel processo produttivo del comparto automotive.

Anche nella Bergamasca prevalgono gli stabilimenti di piccole e piccolissime dimensioni (meno di 50 addetti), 56 in tutto, pari all’80% del totale, ma sono le unità medio-grandi (oltre 50 addetti) ad assorbire il 91,5% del personale, con il traino di tre grandi imprese (oltre 250 addetti) che danno lavoro a quasi il 70% degli occupati del settore. Spiccata la specializzazione orobica nella componentistica auto (54 unità locali e 4.558 addetti), cioè parti e accessori per autoveicoli e motori, seguita dalla fabbricazione di carrozzerie (14 unità locali e 290 occupati).

Bergamo ha anche un’alta propensione all’export di automotive, pari a oltre 252 mila euro per addetto, con la Germania destinataria di un terzo delle vendite, seguita a distanza da Francia e Regno Unito: tre mercati di sbocco che, da soli, rappresentano più della metà delle esportazioni orobiche del comparto.

Tra il 2008 e il 2021 l’export è cresciuto del 56%, pari a poco meno di 450 milioni di euro. Dopo il crollo del 2009, infatti, la ripresa è stata progressiva e costante, frenata bruscamente nel 2020 dalla pandemia e dalle difficoltà di approvvigionamento. Il 2021 è stato l’anno del nuovo massimo storico: 1,2 miliardi di euro di vendite all’estero. Anche nei primi nove mesi del 2022 le esportazioni hanno registrato una dinamica positiva: con 1,02 miliardi di euro hanno superato dell’8,8% quelle realizzate nello stesso periodo del 2021, collocandosi ben oltre i livelli pre-Covid (+24%).

Come cambierà il settore? «L’evoluzione tecnologica non si ferma - evidenzia Piccinali - ma va gestita senza lasciarsi condizionare da posizioni ideologiche. Imporre il limite del 2035 senza sentire prima tutti gli attori coinvolti era stata una scelta affrettata, ora invece i giochi potrebbero riaprirsi. Sicuramente le imprese della provincia di Bergamo ormai sono più votate alla meccatronica che alla meccanica, ma anche quelle più legate all’automotive tradizionale si stanno già riconvertendo».

Anche in termini di occupazione Piccinali vede il bicchiere mezzo pieno: «È vero che il passaggio all’elettrico potrebbe mettere a rischio posti di lavoro, ma la transizione richiederà anche nuovi profili e aprirà tante opportunità. Ora siamo riusciti a prendere tempo, sfruttiamolo per non farci trovare impreparati».

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